PMA: un diritto per tutti?
MARISA D’ARRIGO - Psicologa, Psicoterapeuta, UOSD Fisiopatologia della Riproduzione Umana, Ospedale Santa Maria delle Grazie, Pozzuoli (Na)
Credo sia importante fare una prima riflessione. Parlando di infertilità e di PMA, si assiste ad una sorta di sovrapposizione tra la possibilità di utilizzare ed accedere alle tecniche di PMA e il principio etico in base al quale la procreazione è uno dei diritti inalienabili dell’individuo.
Le due cose, pur trattando una materia affine, non coincidono. La PMA infatti è un espediente tecnico nato proprio per superare o bypassare ostacoli alla riproduzione. Infatti la legge 40 del 19 febbraio 2004 “Norme in materia di procreazione Medicalmente Assistita” (che, nonostante le modifiche conseguenti ai Pronunciamenti della Consulta, è ancora la legge di riferimento in materia) sancisce (art.4 comma 1) che “Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico”
Si stabilisce cioè che il ricorso alla PMA è possibile solo a fronte di una condizione di sterilità o infertilità certificata (con o sine causa)
Viene da chiedersi allora se l’accesso alle tecniche debba essere garantito ad esempio anche in quelle situazioni di “matrimoni bianchi”, determinate non da problematiche di natura fisica (conseguenti a malattia o incidente) ma di natura psicologica, quando cioè disfunzioni erettili, vaginismo o, ancora, scelte di una vita e di una relazione di coppia “asessuata”, rendono impossibile la procreazione naturale. In questi casi ci si trova di fronte ad importanti problematiche psicologiche, che improntano le scelte di vita e che necessiterebbero primariamente di un’attenzione e di un accompagnamento specifico, affinché il ricorso alla PMA possa essere il punto di arrivo di un percorso (individuale e di coppia) e non un’ipotetica scorciatoia o un tentativo di negare l’esistenza di una problematica.
“Ma un figlio concepito nel vuoto di desiderio, non di lui, ma tra genitori “incapaci di definirsi come uomo e donna desideranti”2, come funzionerà? Dovrà forse inconsapevolmente compensare questa assenza?”3
Esistono dei casi nei quali è contemplata la possibilità di rifiutare l’accesso alle tecniche di PMA?
L’art. 6 comma 4 della legge 40/2004 recita: «… il medico responsabile della struttura può decidere di non procedere alla procreazione medicalmente assistita, esclusivamente per motivi di ordine medico-sanitario».
Nella pratica clinica però si incontrano a volte, fortunatamente in maniera non frequente, situazioni che fanno riflettere e pongono degli interrogativi sulla opportunità/legittimità di accesso alle tecniche PMA.
Una prima categoria di situazioni fa riferimento a quelle coppie che hanno grossi problemi relazionali e per le quali avere un figlio risponde ad esigenze di tipo compensatorio o strumentale (ultima spiaggia per evitare una separazione; ricatto affettivo nei confronti di un ex coniuge; passaggio dalla condizione di amante a quella di compagno/compagna ufficiale, ecc.).
Queste tematiche possono apparire non rilevanti in merito all’accesso alle tecniche ma è anche vero che tutta la ricerca psicologica ha ormai da decenni evidenziato il fatto che un bambino prima di nascere concretamente nasce nella mente e nel cuore dei suoi genitori e che le motivazioni del suo concepimento possono influire sulla sua storia e sulla qualità della sua vita. Non a caso oggi una branca della psicologia clinica si occupa di Perinatalità Psichica, di quel periodo cioè tra l’ipotetico progetto generativo/genitoriale di un bambino, la sua pianificazione e realizzazione fino al primo sviluppo del bambino stesso4. Questo per dire quanto sarebbe importante porre attenzione a questi aspetti, non con una valenza “censoria” ma con una finalità di accompagnamento.
Una seconda categoria è relativa a pazienti (prevalentemente donne) infertili che presentano o hanno presentato nella loro storia gravi disturbi psichiatrici (depressioni maggiori, bipolarità, scissioni psicotiche, tendenze paranoidi), che arrivano al Centro PMA sull’onda della convinzione che, se riuscissero ad avere un bambino, ad avere cioè qualcuno di cui occuparsi, darebbero senso, ordine e benessere alla loro vita. Frequentemente questa convinzione è avvalorata dal/la partner ed appoggiata da tutta la famiglia.
Situazioni di questo genere evidenziano degli interrogativi in merito alla capacità del paziente di:
– far fronte psicologicamente ad un percorso (quello della PMA) difficile, faticoso, fonte di tensione e di stress e, per di più, con una possibilità di successo percentualmente molto basso;
– aderire consapevolmente e pienamente a quanto richiesto in sede di consenso informato;
– svolgere una funzione genitoriale sufficientemente adeguata.
D’Arrigo M., Se i bambini non arrivano, Liguori, Napoli 2008 Fiumanò M., A ognuna il suo bambino, Il Saggiatore, Milano 2000
Imbasciati A , Cena L, Psicologia clinica perinatale per le professioni sanitarie e psicosociali. Vol. II. Genitorialità e origine della mente del bambino, Franco Angeli, Roma 2015
Child-rearing ability and the provision of fertility services: a committee opinion, American Society for Reproductive Medicine, Birmingham, Alabama, July 2013,Volume 100, pp. 50-53