Perché vogliamo vendicarci? Un approfondimento sul comportamento vendicativo
ALESSIO ANGELO GRILLO - Psicologo
Il comportamento vendicativo, seppur ritenuto socialmente inaccettabile, fa parte dell’essere umano. È presente non solo a livello soggettivo, ma si manifesta anche in molti contesti sociali e artistici. Poiché strettamente legato alla rabbia e al narcisismo, possiede una carica emotiva molto forte. Questo comportamento ha sia una dimensione individuale che collettiva, e può spingere l’individuo o un gruppo alla vendicatività. Il presente articolo ha lo scopo di illustrare il concetto di vendetta e le sue tipologie, il suo funzionamento e le teorie che hanno caratterizzato questo fenomeno
Introduzione
L’origine della parola “vendetta” deriva dal latino vindicta e stava ad indicare la verga con cui si toccava lo schiavo che doveva essere posto in libertà, ma può significare anche rivendicazione, liberazione. Può essere interessante vedere come nel tempo ci sia stato il tentativo di confinare e censurare l’idea della vendetta poiché non consona a un buon costume e a un’idea di desiderabilità sociale. Si può dire che con il progredire della civiltà, la vendetta sia stata allontanata da quegli ambiti della società che si proiettavano sulla realtà concreta, come ad esempio l’ambito della legge (legge del taglione) e ha trovato rifugio in campi più umanistici, meno vincolati alla vita pratica. Ne è chiara manifestazione la presenza corposa nel mondo dell’arte, nella fantasia individuale e nell’immaginario collettivo. Non è affatto difficile individuare la vendetta in molti miti, leggende e tragedie antiche e contemporanee. Nell’Antica Grecia la vendetta muove uomini, eroi e persino gli stessi Dei: le Erinni sono le personificazioni femminili della vendetta. Le “Furie” della mitologia romana, le tre sorelle Aletto, Megera e Tisifone, nacquero a seguito dell’evirazione di Urano da parte di Crono, dal suo sangue.
La letteratura greca è ricca di opere che hanno come tema la vendetta: l’esempio più celebre è l’Iliade di Omero, dove la guerra fu scatenata per vendetta, inizialmente per il rapimento di Elena, moglie di Menelao e successivamente tra Achille ed Ettore per la morte di Patroclo. Questo tema non è solamente greco; vi sono, infatti, numerose opere letterarie dove esso è presente: La Divina Commedia, Otello, Oreste e Il conte di Montecristo, per citarne alcune.
Anche nella pittura troviamo rappresentazioni, per esempio: Giuditta con la testa di Oloferne di Saraceni, Mantegna e Giorgione. Anche Artemisia Gentileschi diede un contributo in questa direzione con Giuditta che decapita Oloferne, opera potente dove la pittrice riversa la sua rabbia e il suo risentimento per lo stupro subito poco tempo prima da parte di Agostino Tassi. In La vendetta di Vulcano di Parmigianino si racconta di Venere, moglie di Vulcano, che innamoratasi di Marte, tradì il marito nella propria camera nuziale. In La morte di Marat di David, Charlotte Corday sorprese il politico mentre era nella vasca e lo pugnalò con un coltello. Anche Gustave Dorè, pittore e incisore francese, raffigurò scene di vendetta come La morte di Abele, Dante e le Erinni e Gli iracondi.
Nella scultura, in particolare nell’opera Laocoonte e i suoi due figli lottano coi serpenti, scultura greca della scuola di Rodi (I secolo), Laocoonte è vittima della vendetta della dea Atena. Egli infatti, avendo scagliato una lancia contro il ventre del cavallo di Troia, scatenò l’ira della dea che proteggeva i Greci. Atena evocò due serpenti marini che attaccarono i figli di Laocoonte, il quale, per difenderli, cadde vittima nello scontro. Anche la celeberrima opera di Antonio Canova Amore e Psiche nasce dall’invidia e successiva vendetta di Venere nei confronti della bella mortale.
Nel sistema legislativo il concetto di vendetta può essere rappresentato dalla cosiddetta “legge del taglione”. Chiamata in latino lex talionis, è un principio di diritto che consiste nella possibilità riconosciuta a una persona, che ha subito un danno causato intenzionalmente da un’altra persona, di infliggere a quest’ultima un danno, anche uguale all’offesa ricevuta. In uso presso diverse popolazioni in età antica, aveva la funzione di porre un limite alle vendette private, che spesso degeneravano in faide. La vendetta è da sempre considerata uno dei principali moventi criminogeni insieme al piacere, all’odio e al vantaggio personale. Manifestazione innata dell’aggressività umana, la vendetta quindi risponde all’esigenza di ristabilire un equilibrio alterato da un crimine. Con l’evoluzione delle dinamiche sociali, la società civile si è fatta carico di rispondere a questa esigenza attraverso le autorità costituite, i tribunali, sottraendo agli individui l’iniziativa della ritorsione; la sanzione viene applicata in nome della collettività. Secondo le regole sociali si tratta di vendetta quando il fare giustizia ha un carattere privato; è punizione quando l’applicazione delle leggi per fare giustizia ha un carattere collettivo.
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