Per una cura senza frontiere. Le nuove sfide legate al fenomeno migratorio
VITTORIA SPELTONI - Antropologa
Dalla fine della guerra fredda ad oggi, il nuovo assetto geopolitico ha vissuto uno straordinario movimento migratorio. Uso il termine stra-ordinario perché è appunto fuori dall’ordinarietà: rispetto ai movimenti migratori antecedenti l’attuale boom della globalizzazione vede spostamenti di uomini, pensieri e cose da e verso ogni direzione.
Più per convenzione che per dati realistici distinguiamo due cause principali: l’impossibilità di vivere presso il paese di origine a causa di guerre e violenza politica che costringono le persone a lasciare la propria terra; la volontà di cercare nuove possibilità economiche, l’aspettativa di una vita sociale e professionale migliore rispetto a quella del paese di provenienza. Parliamo in questo secondo caso di migrazioni economiche
Fino all’inizio degli anni Novanta, l’Italia è passata dall’essere una terra di migranti ad una terra meta d’immigrazione. In quegli anni approdavano i primi barconi dall’Albania e l’attenzione politica si diresse su temi quali controllo e sicurezza del Paese. Furono emanati provvedimenti e leggi, come la legge Martelli del 90, la Turco- Napolitano del ’98 e la Bossi-Fini del 2002. Tuttavia, più che affrontare il problema in modo organico queste leggi sono andate sempre più connotandosi come pacchetti sicurezza: i centri di accoglienza sono piuttosto centri di identificazione e controllo finalizzati all’espulsione, mentre i centri di permanenza temporanea prendono sempre più la fisionomia di centri di detenzione. Evidentemente il problema è più articolato di quanto la politica abbia immaginato.
Ma che cosa è cambiato e perché chi si occupa di salute e cura oggi più che mai è chiamato a dover mediare tra i bisogni di cura e sopravvivenza e il pensiero politico?
I mutamenti incessanti che le società contemporanee attraversano, a partire dagli ingenti movimenti, spesso forzati, di popolazioni che affrontano mari e terre del pianeta in cerca di pane, pace e dignità, richiedono chiavi interpretative in grado di andare oltre la dimensione psichica intraindividuale e occidentale. L’universalismo che orienta i programmi di intervento internazionali nell’ambito dei diritti umani e dei conflitti globali comporta infatti la rimozione delle determinanti storiche nella produzione della sofferenza sociale.
Dati statistici
Prosegue nel 2017 la diminuzione della popolazione residente già riscontrata nei due anni precedenti. Al 31 dicembre risiedono in Italia 60.483.973 persone, di cui più di 5 milioni di cittadinanza straniera, pari all’8,5% dei residenti a livello nazionale (10,7% al Centro-nord, 4,2% nel Mezzogiorno). Il movimento migratorio con l’estero fa registrare un saldo positivo di circa 188 mila unità, in lieve aumento rispetto all’anno precedente. Le acquisizioni di cittadinanza registrano una battuta d’arresto rispetto al trend crescente degli anni precedenti: nel 2017 i nuovi italiani superano i 146 mila.
In Italia risiedono persone di circa 200 nazionalità: nella metà dei casi si tratta di cittadini europei (oltre 2,6 milioni). La cittadinanza più rappresentata è quella rumena (23,1%) seguita da quella albanese (8,6%).
(https://www.istat.it/it/archivio/216999)
(http://viedifuga.org/richiedenti-asilo-ed-esiti-in-italia-tutti-i-dati-del-riepilogo-2017)