La formazione del soggetto terapeutico
CATELLO PARMENTOLA - Psicologo, Psicoterapeuta, Dirigente psicologo presso l’ASL Salerno
Le ‘nozioni’ nei percorsi formativi sono generalmente bene insegnate e bene apprese. Questo suggerirebbe una maggiore concentrazione sul pezzo mancante della sedimentazione ‘personale’ di quanto appreso, piuttosto che ‘ridondare’ gli aspetti formali, in una collusione tra le ‘difese’ degli allievi e quelle dei didatti.
Va assegnata estrema importanza alla premessa formale indispensabile alla liberazione del processo.
Ma è indispensabile anche non dimenticare che il fine della premessa formale è la liberazione del processo, altrimenti si resterebbe per sempre a livello di premessa. Questo contributo riconosce l’importanza della premessa come la riconoscono tutti. Ma, contestualmente, sollecita ad andare oltre la premessa, come sollecitano in pochi.
La calibratura sulla soggettività: da fare lo psicologo ad essere un soggetto psicologico
A causa anche di esposizioni istituzionali, negli anni ’80-’90 mi sono molto occupato del ‘soggetto’ psicologo e della sua capacità di essere un ‘soggetto psicologico’.
L’essere ‘psicologici’ si sostanzia dell’essere sempre capaci relazionalmente di calibrarsi sulla soggettività, delle persone, dei contesti, dei momenti…
Questo, in dialettica col Mondo in cui, essendo quasi sempre tutti troppo occupati- disturbati da sé, la costante mancanza di questa calibratura causa e descrive spesso situazioni antieconomiche, non sostenibili, ammalanti…
Proprio per questo, si struttura una domanda psicologica e sarebbe quindi imperdonabile e paradossale se, nella relazione psicologica, si ripetesse il Mondo e si riproducesse la stessa scalibratura.
Da questa considerazione consegue che il primo requisito personologico di unsoggetto psicologico è la calibratura sulla soggettività che istituisce contesti relazionali sostenibili e ‘lavorabili’.
Adesso non è per nulla detto che uno psicologo, solo perché laureato in psicologia, possegga di per sé questo requisito, sia quindi contestualmente anche un soggetto psicologico.
È di tutta evidenza che si possa essere dei soggetti anche molto psicologici pur non essendo psicologi, come altrettanto si possa essere psicologi anche da 110 e lode, pur non essendo per niente soggetti psicologici.
L’esigenza di formare contestualmente sia lo psicologo che il ‘soggetto’ psicologo (la persona dello psicologo) affinché sia funzionalmente sempre anche psicologico, l’ho molto segnalata –in ogni sede- negli anni ’80-’90.
Ho cercato di focalizzare epistemologicamente lo sguardo e l’ascolto psicologici, l’essenzialità della psicologicità della relazione, i suoi requisiti e, in generale, quelli che erano i Soggetti e gli Oggetti della psicologia, ma, purtroppo, erano generazionalmente tempi difficili per gli psicologi, tempi di guerra, di macchina e di pietra, in cui si era troppo impegnati a farsi professionalmente largo in termini giuridico-amministrativi e sindacalistici.
Così furono molto sottovalutati e trascurati gli aspetti epistemologici e culturali, considerati, in quei tempi duri, quasi alla stregua di voluttuari vezzi intellettualistici. Abbiamo pagato questo errore tragicamente nei decenni successivi, sia in termini di fragilità identitaria che in termini di confusione epistemologica ma anche normativa e professionale.
Far ‘succedere’ la relazione: da ‘fare lo psicoterapeuta’ ad essere un ‘soggetto terapeutico’
Lo stesso paradosso finora descritto a proposito di psicologo e soggetto psicologico, si può cogliere anche a proposito di psicoterapeuta e soggetto terapeutico.
È importante che si formi rigorosamente lo psicoterapeuta, che egli apprenda quelle indispensabili nozioni formali, tutti gli autori di riferimento e tutte le regole della propria pratica clinica.
Tuttavia, se essere psicologici significa calibrarsi sulla soggettività, essere terapeutici significa far ‘succedere’ relazione, nel senso della relazione tra il dottore e il paziente e nel senso di riuscire, con i tempi e i modi della clinica, a sciogliere e liberare gli accessi relazionali del paziente a se stesso e ai propri nuclei conflittuali e infine al Mondo.
Da questo punto di vista, qualunque modello clinico è comunque pur sempre relazionale, perché utilizza paradigmaticamente la relazione dottore-paziente e perché interroga in ogni caso paradigmi connettivi, sia che si debba mettere in contatto con parti remote (l’inconscio dinamico per come si forma), sia che si debba mettere in contatto con parti costrette alla distanza perché non ancora distinte (l’inconscio fenomenologico, per come si dice).
Allora, se è indispensabile ‘far succedere la relazione’ e, per farla succedere, è indispensabile che gli psicoterapeuti siano soggetti terapeutici, si pone la questione di dover formare gli psicoterapeuti in tal senso.
Perché, riprendendo il paradosso di sopra, non è detto che i soggetti terapeutici siano degli psicoterapeuti allo stesso modo in cui non è detto che gli psicoterapeuti debbano essere di per sé dei soggetti terapeutici.
Come ho conosciuto psicologi molto poco psicologici, così ho conosciuto psicoterapeuti molto poco terapeutici (per ovvi motivi, per esempio, quasi tutti quelli di formazione medica).
Si pone dunque la questione di formare la terapeuticità degli psicoterapeuti, questione quanto mai complessa.
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