Giustizia riparativa: gestire i conflitti, riparare l’offesa
GRAZIA MANNOZZI - Docente Università degli Studi dell’Insubria
La giustizia riparativa è una modalità di gestione dei conflitti alternativa a quella penale; essa rinuncia alla ritorsione e alla logica di vendetta per adottare un approccio dialogico volto a favorire la riparazione dell’offesa e la riconciliazione. La diversità dell’assunto di partenza fa sì che la giustizia riparativa richieda un nuovo linguaggio, nuove categorie giuridiche, nuove norme, nuovi esperti (mediatori, facilitatori), nuove modalità di formazione. Dopo aver proposto le più accreditate definizioni internazionali di giustizia riparativa, vengono pertanto analizzate le sfide che la giustizia riparativa pone in campo linguistico, giuridico e culturale.
Un’introduzione “empatica” alla giustizia riparativa
«Dopo la violenza e le morti inferte, dopo, per gli autori materiali e per i concorrenti morali nelle organizzazioni eversive è arrivata la giustizia: ci sono stati, salvo qualche importante eccezione, gli arresti, i processi, le condanne, le lunghe – e a tratti lunghissime – detenzioni, espiate in una prima fase nelle carceri speciali e nei tristemente noti “braccetti morti”. Eppure quasi nessuno, dal lato delle vittime e dal lato dei responsabili, ha sentito che “giustizia” era stata fatta. È da qui che bisogna iniziare» (G. Bertagna, A. Ceretti, C. Mazzucato, 2015).
La testimonianza è tratta da Il Libro dell’incontro, un volume che raccoglie saggi e testimonianze per raccontare un percorso di giustizia riparativa durato circa sette anni, il quale ha consentito alle ‘vittime’ del terrorismo degli “anni di piombo” e ai ‘perpetratori’ di incontrarsi faccia a faccia e di affrontare insieme il conflitto che li ha opposti.
I postumi di reati gravi, anzi gravissimi, dall’epilogo talvolta irreparabile, devastanti per chi li ha vissuti in prima persona, sconvolgenti per le vittime indirette, destabilizzanti per la collettività, sono stati narrati, ascoltati e pazientemente gestiti attraverso un percorso di giustizia riparativa complesso, difficile, faticoso, a tratti doloroso, che ha visto anche abbandoni del cammino intrapreso.
Si è trattato di lavoro, inedito e non scevro da rischi, di condivisione delle memorie, di narrazione di vissuti, di riconoscimento dell’umanità insita in chi si è trovato dalle parti contrapposte di una barricata. Un’opera lenta, difficile ma dai risultati sorprendenti, quasi un miracolo di ricostituzione dei legami sociali: questo è stato il cammino di giustizia riparativa descritto in quel libro.
Forse è davvero da qui che si può iniziare a parlare della “giustizia riparativa”, delle sue origini e delle sfide che pone; si può partire dall’insoddisfazione che spesso accompagna il vissuto delle vittime rispetto alla giustizia penale, una giustizia capace di minacciare e irrogare sanzioni che appagano momentaneamente il bisogno di vendetta ma che non restituiscono nulla di veramente fondamentale alle vittime, che possa lenire il loro dolore e aiutarle a voltare pagina, senza oblio ma con una rinnovata capacità di resilienza (Pranis, 2002).
La giustizia riparativa è una giustizia nuova, diversa già a partire dal nomen rispetto alla giustizia punitiva che si è sedimentata da secoli nell’immaginario collettivo e che nella più classica delle allegorie assume le forme della figura femminile bendata (Prosperi, 2008), dotata di bilancia e di spada (Mannozzi, 2003).
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