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Il lavoro: dal malessere al benessere, al bellessere e alla gioia

Intervista a Enzo Spaltro* A CURA DI GIOVANNI CAVADI

Work: from distress to wellbeing, to “bellessere” and to joy
The interview proposes a new model for cultural and social change and focuses on the ‘beauty’ of work as the most effective way towards an improved and more joyful society.

 

Dottor Spaltro, lei è Direttore dell’Università delle Persone con sede a Bologna, un Istituto con caratteristiche peculiari...
Nel 2008 ho fondato a Bologna l’Università delle Persone (UP) con lo scopo di for-mare persone liberamente, nello spirito del benessere e nella soggettività. È una comunità di apprendimento con la forma giuridica dell’associazione, fatta di stu-denti, docenti e di liberi aderenti che richiedono una manutenzione sistematica e una particolare attenzione alla propria autostima. La UP rifiuta ogni riconoscimento giuridico ed ogni programmazione esterna delle proprie didattiche; inoltre stimola il contagio positivo di situazioni di benessere e di influenze estetiche specialistiche. Essa utilizza catalogazioni dei saperi e metodologie didattiche ispirate al migliora-mento delle condizioni di vita e di lavoro.


Lei mette al centro del suo lavoro il concetto del benessere soggettivo e diffuso nelle organizzazioni. Può illustrare come, secondo lei, si può raggiungere questo obiettivo?
È noto che il futuro non lo si prevede, ma lo si progetta, e quindi ci siamo dedicati a comprendere questo problema: come iniziare a costruire un modello di cambiamento culturale e sociale, facile da comprendere, rappresentare e misurare. Con qualche amico abbiamo proposto un cambiamento nel modo di cambiare.
Oggi si sta realizzando una società di connessioni con almeno tre varietà: relazio-ni composte tra le persone, che sono sempre meno basate su carisma, ideologia e religione, e sempre più fondate su idee, associazioni e osservazioni che non sono originate dall’aldilà e da trascendenze, ma dall’aldiqua e da immanenze, cioè da figu-re, suoni, colori e linguaggi, relazioni tra persone, associazioni tra idee, sfumature che vanno dai poteri a somma zero ai poteri a somma variabile, con una continua variabilità.
Il modello che noi seguiamo è quello che va dall’individuo al soggetto attraverso l’emergenza soggettiva. Poi va dal soggetto al cittadino attraverso l’emergenza della socializzazione. Poi va dal cittadino alla persona attraverso l’emergenza della rappre-sentanza, rappresentatività e rappresentazione. Ciò porta dalla persona alla comunità attraverso la lotta per l’appartenenza sino alla partecipazione, intesa come lotta continua per l’appartenenza.


È un modello di ampio respiro… vede una sua applicazione nell’ambito delle società contemporanee?
Un potere diverso sta negli anni trasformando il potere metafisico a somma zero in un potere laico a somma variabile. Si sta passando dall’uno individuale, al due della coppia, al tre del piccolo gruppo ed al quattro del grande gruppo. In una parola dal singolare al plurale.
Proponiamo un limite tra passato e futuro con una frontiera presente in un passaggio tra due culture: quella terriera, individuale e bellica, vecchia di seimila anni e quella immateriale, relazionale e connettiva, emergente da meno di un secolo, giovanissima con una dimensione spaziale planetaria e in espansione.

Come vede il futuro?
Occorre passare dalla lotta contro… alla lotta per… Dalla distruzione degli altri alla costruzione di noi stessi, cioè all’agire per noi e non contro di voi, perché le due cose non sono compatibili. Un fattore sta emergendo con diversi nomi e di chiara finalità: e questo si chiama lavoro. Il lavoro sta comunque svolgendo un ruolo ondulatorio nella creazione di benessere. Un poco stimola ed un altro poco rallenta la produzione di gioia. Ma la sua influenza, sia pure con diversi nomi, non accenna a diminuire. Qualcuno ha persino fatto coincidere la qualità del lavoro con la democrazia: lavoro come origine ed effetto della democrazia.


Può spiegare in che senso il lavoro può essere “origine di democrazia”?
Creare e inventare un senso comune alla nostra vita è alla base della nostra democrazia. E il lavoro la qualifica. La soggettività è la base della democrazia. E il lavoro esprime la qualità della democrazia. La democrazia di Pericle, iniziata duemila e cin-quecento anni fa ad Atene, e tuttora valida oggi, sopravvive come una scatola vuota, ma disponibile. In questa sua disponibilità essa è insostituibile.


Quindi lei attribuisce al lavoro un grande compito di civiltà…
Il lavoro è, comunque, in grande sviluppo a livello planetario e ci stiamo orientando verso un modello economico integrale, basato sulla soggettività e sulla democrazia del lavoro. Questo è un modello che pretende di proporre una visione soggettiva dello scambio di beni e valori tra le persone, che usano valori e beni soggettivi invece di quelli oggettivi. Un passaggio cioè da uno scambio di beni materiali ad uno scambio di beni immateriali: in definitiva da scambi economici a scambi psicologici.
Il lavoro permette di descrivere e misurare, in termini immateriali, il gruppo, l’or-ganizzazione, la scarsità, l’abbondanza e anche la stessa moneta. Appare persino possibile immaginare una futura moneta non garantita dalle riserve dell’argento e dell’oro, ma dal lavoro, che permetta uno scambio più rapido e anche più efficace per la produzione e diffusione del benessere. Ciò vuol dire che in futuro la fame, il lin-guaggio, i desideri, i bisogni e un certo numero di fattori immateriali potranno stare all’origine delle nuove unità di scambio e quindi come sorgenti del valore.


Come può il modello da lei proposto contribuire alla formazione del “benessere soggettivo”? È un modello non solo economico ma anche psicologico?
Questo modello, che abbiamo chiamato psicoeconomico, si compone di tre fasi de-nominabili come passaggio dal malessere al benessere, dal benessere al bellessere e consiste di fatto nel passaggio in corso dalla società dei guerrieri a quella delle connessioni. Dalla guerra alla pace. Una società che possiamo chiamare della gioia. I tre concetti che oggi hanno rilevanza sia nella formazione del futuro che nel futuro della soggettività, sono quelli di gruppo, bellezza e futuro del lavoro.


Può definire il “benessere”?
Il benessere è conseguenza dei tre concetti e può essere definibile come la possibilità e la capacità di esprimersi, che richieda una particolare sensibilità e competenza nei campi della capacità di agire nei piccoli gruppi, nella condizione di bellezza e con una dimensione temporale futura sempre crescente. L’orizzonte temporale diven-ta un fattore basilare per una nuova qualità del benessere. Il benessere deriva dalla velocità con cui i consumi vengono effettuati, il che porta al prevalere dei desideri sui sogni ed al prevalere della repressione sull’espressione.


Benessere come prevalere di “espressione” vs “repressione”?
Certamente! Il benessere va definito e inteso come “la possibilità e la capacità di esprimere ed esprimersi”, espressione che si riferisce all’ambiente al di fuori ed al di dentro del singolo soggetto. Perciò un lavoro buono non ci basta più: desideriamo un lavoro bello, espressivo, piacevole, progressivamente sgombro dal pregiudizio che oggi lo obbliga ad essere un dovere e non un piacere. Lei auspica un futuro orientato verso la bellezza. Cosa intende esattamente?La bontà etica non basta più. Occorre spesso andare controcorrente. Occorre una bellezza estetica sempre più diffusa e non ostacolata con le idee dello sviluppo impossibile o della scarsità come origine del valore. Lei ha introdotto il termine “bellessere” e ne fa ampio uso.


A che cosa fa riferimento?
Ci siamo proposti di chiamare con il termine ‘bellessere’ l’obiettivo di poter raggiungere dei livelli di sviluppo umano quantitativamente e qualitativamente ottimali, per cui il bellessere lo intendiamo come il dare un senso estetico e futuro alla crescente convinzione per cui il futuro non si prevede (perché non esiste ancora), ma lo si progetta (perché è originario nella speranza e nel desiderio di benessere).


Che posto occupano le donne nel suo progetto?
Il mondo del lavoro è sempre stato in mano ad una cultura maschilista e la creazione del concetto di gender o di sessualità psichica non avvenne in America ma in Europa. Le donne apparvero come maggiormente capaci di reggere la complessità della vita informatica e digitale. Gli americani infatti non avevano previsto lo sviluppo di una cultura femminile e di una sua pratica applicazione nel mondo del lavoro. Considerato che le donne sono più abituate alla complessità e quindi sanno dirigere meglio degli uomini…


Quale ruolo riserva all’apprendimento?
Molte nuove idee e verità si sono fatte strada, per cui capire è diventato più im-portante di sapere e sapere più importante di imparare. Con questo spirito vengono previste o proposte alcune previsioni e speranze sul futuro dell’apprendimento come aspetto rilevante della soggettività. Abbiamo fondato l’Università delle Persone come progetto antidoto dell’assoggettamento, basato sul concetto di per-sonum, strumento per suonare, cioè mezzo per esprimersi. L’idea sintetica è la via, cioè l’individua-zione di possibilità future, e non la laurea, cioè la valutazione di meriti acquisiti nel passato da allievi, docenti ed utenti. Abbiamo individuato alcuni punti che compon-gono questa idea di “via”.
Innanzi tutto l’autolegittimazione, cioè la massima indipendenza possibile rispetto al dominio vigente e la minima rilevanza dei costi utilizzando le risorse già disponibili (a costo zero).


Come sviluppa concretamente questo atteggiamento nell’UP?
L’UP non rilascia titoli e non ne riceve, usa la parità come antidoto verso il dominio per popolare gli interstizi benestanti e per massimizzare lo sviluppo personale. Propone un apprendimento continuo, cioè un doppio ciclo sia di capacità di esprimere che di esprimersi: apprendimento come effetto “cammello”, che dovrebbe ri-comin-ciare dopo il 50° anno di vita di ogni singola persona, possibilmente dopo il termine del primo ciclo lavorativo.


L’UP sembra proporre nuovi schemi di relazione tra ‘insegnare’ ed ‘apprendere’, nuove modalità formative…
Sì, la fine della simmetria tra apprendimento ed insegnamento e della superiorità dell’insegnare rispetto all’imparare. Non tutto quello che si insegna si impara e quello che si impara si insegna. Occorre considerare la scuola di ogni tipo (anche l’università) come manutenzione della persona. L’autostima è la base di ogni apprendimento. Non dimentichiamolo. Il nostro desiderio di libertà è la base di ogni formazione-sviluppo. Se è da evitare l’egoismo formativo è ancora più da evitare il pericolo dell’insufficiente autostima. Ogni programma di sviluppo lavorativo e formativo ed ogni organizzazione non possono fare a meno dell’autostima.
I costi della UP vengono ridotti “a zero”, usando le risorse non utilizzate, potenziando le dimensioni soggettive ed immateriali e riducendo quelle giuridico-economiche. Questa logica è accompagnata da una ridefinizione dei saperi, che abbiamo chiamato una “re-missione”. La laurea passata distingue tra scienze della bontà, esatte, umanistiche, giuridiche ed artistiche, ecc. Invece la via futura distinguerà tra scienze della bellezza, soggettive, gradevoli.
Ogni formazione, meglio denominabile come sviluppo, è sempre un apprendimento di benessere soggettivo e diffuso, di maggiori e migliori possibilità e capacità di espri-mere e di esprimersi. L’autostima è la base della scuola. E la scuola è basata sulla motivazione. Questa è poi basata sul desiderio e sull’intangibile. Il contrario della motivazione e dell’intangibile è la fatica ed il tangibile. La speranza di benessere (futuro) è già benessere (=bellessere).


Tornando al tema del lavoro, come lo colloca in questo nuovo modello?
Il lavoro e l’occupazione sono a tutt’oggi il modo maggiore e migliore di produrre benessere. Però senza bellessere il lavoro non produce benessere sufficiente. Una volta si diceva che chi non lavora non mangia, ma oggi non è più così. La storia di tutte le migrazioni lo mostra chiaramente. Non ci basta più il lavoro basato sulle esperienze del passato, perché un lavoro buono richiede anche un lavoro bello. Vo-gliamo rischiare di più: vogliamo la bellezza del lavoro, quella che salverà il mondo. L’organizzazione viene sempre più considerata come uno stato d’animo e la formazio-ne-sviluppo una progettazione della nostra gioia futura. Chi non si diverte nell’apprendere non impara granché. Inoltre il perdono potenzia fortemente le nostre pos-sibilità di apprendere. L’era dei guerrieri si sta faticosamente, ma progressivamente trasformando nell’era delle connessioni. La vendetta da millenni avvelena ed ipoteca il nostro futuro, distruggendone la bellezza. E spesso la cultura vigente non è più solo quella dei vincitori. I vinti sono più importanti dei vincitori. La vittoria non paga più, perché contiene anche una sconfitta. Dobbiamo imparare a perdonare ed a riappropriarci del nostro futuro.
L’UP propone così le tre P = parità – perdono – pluralità come slogan di un futuro migliore: quello di una gioia possibile.



*Medico e Psicologo del Lavoro - Direttore dell’Università delle Persone – Bologna, Direttore della rivista Psicologia e Lavoro – Ed. Il Saggiatore.

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