Figli del tempo
Mariceta Gandolfo - Docente di Lettere al Liceo Classico
«Che cos’è il tempo?» si chiedeva sant’Agostino; «Se me lo chiedi lo so, ma se mi chiedi di definirlo non lo so più».
La difficoltà di sant’Agostino è quella di tutti noi.
Tutti sappiamo intuitivamente cosa sia il tempo, è una delle prime cose che cogliamo, sembra che sia una conoscenza innata in noi almeno una delle più facili da cogliere, anche senza uno specifico apprendimento, tanto che bambini anche molto piccoli riescono a capire cos’è il “domani” e l’“oggi”.
«Oggi non posso portarti alla villa per giocare, ci andremo domani».
Eppure se proviamo a definire cos’è il tempo ci imbattiamo nelle stesse difficoltà di sant’Agostino, la definizione ci sfugge, non sappiamo in quale categoria incasellarlo.
Il tempo è una “cosa”? Ha una sua realtà ontologica? E se è una cosa che tipo di cosa è?
È una cosa unica oppure è formato da molteplici parti, per esempio passato, presente, futuro?
E ciascuna di queste parti è una cosa a sé stante oppure esiste solo in relazione alle altre, come il passato prossimo con il passato remoto o il futuro semplice con il futuro anteriore?
Sant’Agostino rispose che il tempo non ha una realtà ontologica, perché ciascuna delle parti di cui è composto non esiste: il passato non esiste perché non c’è più, il futuro non esiste perché non c’è ancora, il presente non esiste perché nel momento stesso che lo percepiamo è già diventato passato.
Dunque il tempo, che è la somma di tre non-realtà non può essere a sua volta una realtà come la somma di tre zeri non dà uno, ma dà zero.
Eppure noi lo percepiamo perfettamente e tutti sappiamo che il tempo esiste.
Ecco la difficoltà in cui si era imbattuto sant’Agostino, che giunse alla famosa conclusione:
Il tempo non è una realtà ontologica, ma psicologica, cioè non esiste in sé, esiste solo in noi: il tempo non è una cosa, ma un nostro modo di cogliere le cose, è una “Distensio animae”: ciò che chiamiamo passato è la nostra memoria, ciò che chiamiamo futuro sono le nostre speranze, i nostri progetti e aspettative, ciò che chiamiamo presente è la coscienza di ciò che stiamo percependo, ma diventa subito memoria e dunque passato.
Il tempo esiste perché esiste l’uomo con la sua coscienza.
E perché l’uomo ha il senso del tempo?
Poiché noi siamo creature effimere, la nostra esistenza è transitoria, ha avuto un inizio e avrà una fine, noi non partecipiamo dell’idea dell’essere, ma del divenire.
Hegel definisce il tempo “il divenire intuito” cioè l’intuizione del divenire”, che è propria solo di chi ha coscienza della propria dimensione transitoria.
L’essere dell’uomo è un “essere per la morte”, dice Heidegger, e il tempo è la sua dimensione più autentica.
Anche il nostro linguaggio quotidiano riflette questo legame fra tempo e divenire: per esempio di fronte ad opere che sembrano immutabili come le piramidi d’Egitto esclamiamo ammirati: <<Sembra che il tempo si sia fermato!>>, oppure, se vogliamo fare un complimento ad un’anziana signora particolarmente ben conservata, le diciamo «Signora, per lei il tempo non esiste!».
Eppure il divenire esiste eccome! e lascia le sue piccole, impercettibili tracce quotidiane su di noi, sul nostro corpo e sulla nostra psiche
La nostra vita è un fiume in cui non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua, come diceva Eraclito, tutto scorre in noi ed intorno a noi, a volte lentissimamente, a volte ad un ritmo così frenetico che ci lascia frastornati.