Covid-19 e disturbi dell’alimentazione:
il ruolo della terapia EMDR
MARIA ZACCAGNINO, MARTINA CUSSINO, CHIARA CALLERAME, CRISTINA CIVILOTTI - Centro EMDR per l’anoressia, Milan, Italy - department of Psychology, University of Turin, Turin, Italy -salesian University Institute Torino Rebaudengo (IUSTO), Turin, Italy
Come suggerito dal nome, gli individui affetti da tali disturbi mettono in atto comportamenti alimentari e di controllo del peso, anomali e dannosi per la salute fisica e il funzionamento psicosociale (APA, 2013). Oltre a ciò, le persone con un DCA tendono a giudicare il proprio valore quasi esclusivamente in base al peso e alla forma corporea (ibidem, 2013). Tra le principali categorie diagnostiche riportate nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM- 5; APA, 2013) riferite a tali disturbi, vi sono Anoressia Nervosa (AN), caratterizzata da una restrizione dell’apporto calorico giornaliero tale da causare una diminuzione significativa del peso in chi ne è affetto (con un indice di massa corporea inferiore a 17 kg/m nei casi lievi fino ai casi gravi sotto i 15 kg/m), Bulimia Nervosa (BN) e Binge Eating Disorder (BED). Questi ultimi due disturbi evidenziano il continuo ricorso ad abbuffate, in cui l’individuo mangia grandi quantità di cibo in un breve lasso temporale (da 1-3 episodi alla settimana fino a più di 14 nei casi gravi); tali abbuffate sono seguite nel caso di BN dalla messa in atto di condotte di eliminazione (es. uso di lassativi, vomito autoindotto e così via), cosa che invece non si verifica in chi soffre di BED. Pertanto se gli individui affetti da bulimia oscillano tra il normopeso e il lieve sovrappeso, quelli con Binge Eating Disorder possono essere sovrappeso e in alcuni casi obesi, benché tale patologia sia da considerarsi distinta dall’obesità (Zaccagnino, 2017).
I DCA sono, inoltre, un disturbo in continuo aumento: in una sistematica della letteratura, condotta nel 2019, è emerso infatti un incremento della prevalenza dal 3,5%, nel periodo di tempo compreso tra il 2000 e il 2006, al 7.8%, in quello tra il 2013 e il 2018 (Galmiche et al., 2019), con un tasso di mortalità che si attesta intorno al 5% (Fichter e Quadflieg, 2016). In aggiunta, secondo la Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare (SISDCA), solo in Italia, ogni anno questi disturbi colpiscono 8.500 persone, un dato che potrebbe essere in aumento a causa della pandemia da Coronavirus e dei fattori di rischio ad essa connessi.
Durante le prime settimane di lockdown, infatti, è quadruplicato il numero di persone che hanno sperimentato la cosiddetta “food-insecurity”, cioè una forma di insicurezza rispetto alla possibilità di acquistare cibo a sufficienza per sé e per la propria famiglia (Loopstra, 2020). Tale paura potrebbe trovare spiegazione nelle lunghe file davanti ai supermercati, così come nella scarsa reperibilità di alcune tipologie di alimenti e nella presenza di scaffali completamente vuoti; pertanto le famiglie hanno iniziato a fare scorte alimentari di cibi molto nutrienti e a lunga scadenza, come confermato da una ricerca condotta dalla Coldiretti (Organizzazione degli imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo). Nello specifico, dall’indagine è emerso che gli italiani nel periodo del lockdown hanno acquistato in maniera significativamente maggiore farine e semole (+ 150%), dolci (+13 %), pasta e gnocchi (+ 7%), primi piatti pronti (+24%) e impasti per pizze (+38%).
Per una persona affetta da disturbo alimentare, tuttavia, questa situazione può aver costituito un fattore di rischio per il mantenimento ed il peggioramento della sintomatologia: il fatto di avere in casa grandi quantità di cibo, per lo più ad alto contenuto calorico, potrebbe aver facilitato la messa in atto di abbuffate o, al contrario, di comportamenti alimentari ancora più restrittivi e finalizzati al controllo del peso (Brooks et al. 2020). Per individui con Bulimia o Binge Eating, ad esempio, essere costretti a stare a casa durante l’intera giornata, per settimane, sempre a contatto con le dispense alimentari piene, potrebbe aver aumentato la tendenza a mangiare grandi quantità di cibo; come effetto secondario, date le difficoltà nel fare la spesa a causa dello stato di emergenza dichiarato, tale comportamento disfunzionale potrebbe aver incrementato la conflittualità intra-familiare ed il conseguente stato di attivazione emotiva negli individui coinvolti (Touyz, Lacey & Hay, 2020).
Come anticipato, a seguito delle misure di contenimento adottate dai governi, la maggior parte della popolazione ha quindi iniziato a trascorre le giornate all’interno della propria abitazione, con un incremento significativo del tempo libero. Ciò ha comportato, tra gli altri, un incremento nell’uso dei social networks ed un’esposizione costante ad informazioni ed immagini emotivamente attivanti, legate alla diffusione del virus e del suo tasso di mortalità (Koeze e Popper, 2020). Questo fenomeno, unito allo stato di emergenza, potrebbe aver causato un aumento di ansia e di preoccupazione legate non solo al contagio, ma anche all’incertezza e alla perdita di controllo connesse alla situazione, temi delicati e sensibili per gli individui affetti da un DCA (Brown et al., 2017). Nello specifico, gli individui affetti da tali disturbi riportano una ridotta tolleranza verso l’incertezza e, in quest’ottica, le condotte alimentari disfunzionali potrebbero essere state funzionali alla momentanea riduzione della sensazione di ansia e di stress generata dalla situazione emergenziale (ibidem, 2017).
Inoltre, durante lo stato di emergenza, la popolazione è stata sensibilizzata rispetto all’automonitoraggio del proprio corpo e dello stato di salute, al fine di riconoscere tempestivamente la sintomatologia legata al nuovo Coronavirus (ad esempio febbre, respiro corto e tosse); ciò però può aver accresciuto la sensibilità interocettiva e la cosiddetta “sensibilità all’ansia” (anxiety sensitivity), cioè la sensibilità ai sintomi ansiosi che vengono interpretati come pericolosi per la propria salute fisica, psicologica o sociale (Silverman et al. 2003). Entrambe queste sensibilità, tuttavia, sembrano avere un ruolo chiave nell’incrementare il livello di ansia percepito e i comportamenti alimentari disfunzionali che ne conseguono (Smits et al., 2019).
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