Leonardo: lo sguardo acuto del Rinascimento
ROSA DE ROSA - Docente del Dipartimento Arti Visive dell’Accademia di Belle Arti Aldo Galli di Como
Leonardo: The powerful eye of the Renaissance
Il 2019 è l’anno di Leonardo. In tutto il mondo si stanno celebrando i cinquecento anni dalla morte e riemerge, per un pubblico molto vasto, la complessità degli approcci alla personalità dell’artista: pittore, scultore, architetto, ingegnere, costruttore, anatomista, naturalista, poeta. Dunque il simbolo più compiuto del genio rinascimentale, dominato da una irrefrenabile ma serena volontà di conoscenza, aperto a tutte le avventure dell’osservazione della natura
«Nessun effetto è in natura senza ragione; intendi la ragione e non ti bisogna sperienza»
Leonardo da Vinci, Codice Atlantico
«Naturalmente li omini desiderano sapere» – scriveva Leonardo1.
Ispirarsi alla realtà del mondo esterno, imparare guardando, meravigliarsi e ripro-durre, con profondo spirito critico. Uno “sguardo acuto” sulla vita, che possiamo riassumere in tre princìpi:
– rottura con la scienza medioevale e precorrimento della scienza sperimentale moderna;
– raldatura tra pensare scientifico e pensare artistico. Si veda ad esempio la lettera a Ludovico il Moro (Codice Atlantico, foglio 391) in cui chiede di poter entrare ai suoi servizi «come ingegnere e come artista»2;
– interdisciplinarietà. Nessun campo è escluso dalle sue indagini, nessun limite alle cose da esplorare.
Leonardo era nato il 15 aprile del 1452 ad Anchiano, una frazione di Vinci. A Vinci, nella chiesa di Santa Croce, c’è il fonte battesimale in pietra dove è stato battezzato. Nei codici notarili è rimasta una cronaca del battesimo scritta da suo nonno notaio: «[...] figliuolo di ser Pietro, mio figliuolo, nachue adi’ 15 aprile, in sabato a ore 3 di notte, ebbe nome Leonardo. Battezzollo prete Piero di Bartolomeo da Vinci». Muore in Francia, dove trascorrere gli ultimi due anni, ad Amboise, il 2 Maggio del 1519 3. È malato, ha un braccio paralizzato, è ora profondamente insoddisfatto della vita e degli uomini. Gli è accanto il re di Francia Francesco I. Al fedele amico e colla-boratore Francesco Melzi, suo esecutore testamentario, lascia tutti i suoi libri e tutti i suoi preziosissimi manoscritti (come risulta dal testamento redatto il 23 aprile del 1519, nove giorni prima della morte). «Tra i giovani che affollavano la sua bottega egli non lasciò alcun discepolo di gran fama», scrive Paolo Giovio, primo biografo di Leonardo. Eccetto il fedelissimo allievo Francesco Melzi, che nel 1517 lo aveva accompagnato ad Amboise e gli è accanto fino al giorno della morte.
I manoscritti che Leonardo affidò a Francesco Melzi subirono varie vicende e dalla Villa dei Melzi di Vaprio d’Adda, si dispersero per tutta l’Europa. Tutto ciò che ci ri-mane di tali manoscritti è oggi distribuito principalmente nei musei di Inghilterra, Francia, Italia e Spagna. L’inizio della pubblicazione dei Codici leonardeschi si può far risalire al 1880. Nonostante le dispersioni e le perdite formano ancora una mole imponente: oltre settemila fogli, che sono stati negli ultimi decenni quasi integral-mente trascritti.
La questione riguardante una possibile identificazione delle fattezze di Leonardo è estremamente dibattuta. Non rimanendoci testimonianze dirette, l’autoritratto che ci è pervenuto (foto 1), corrisponde alla descrizione che ne ha fatto il Lomazzo nel 1590: «Leonardo ebbe la faccia con li capelli lunghi e con le ciglia e con la barba tanto lunghi che egli pareva la vera nobiltà dello studio». Ma più interessante è il ritratto che ne fece Raffaello nel 1509/11 ne La scuola di Atene [Stanza della Se-gnatura, Roma, Palazzi Vaticani (foto 2)], il volto di Leonardo appare nella figura di Platone. Si può supporre che Raffaello abbia incontrato Leonardo a Firenze, e che ne abbia rappresentato le sembianze per l’alta stima che ne aveva (E si può pensare che sarebbe stato forse più appropriato raffigurare Leonardo come Aristotele che con la mano indica la terra quale vera realtà della conoscenza, tanto più che proprio a Roma l’attività di Leonardo è essenzialmente dedicata all’indagine scientifica, e in particolare a quella anatomica).
Della prima attività di Leonardo a Firenze, dove fu condotto a 15 anni dal padre, si sa poco. Presumibilmente andò a bottega da Andrea del Verrocchio nel 1469, dove la-voravano fra gli altri Botticelli e il Perugino, una bottega che senza dubbio, insieme alla celebre Accademia Platonica, era il centro più attivo non solo di mestiere ma di cultura che allora vi fosse a Firenze. Verrocchio era uomo di vasta cultura, sapiente di matematica e di musica, cioè aveva in sé quegli elementi di totalità intellettuale che saranno poi tipici dell’uomo universale di Leonardo.
L’attività di Leonardo nella bottega del Verrocchio è testimoniata dall’angelo dipinto sulla estrema sinistra (foto 3) del “Battesimo di Cristo” del maestro dove, come scrisse Giorgio Vasari: «Benché fusse giovanetto, lo condusse in tal maniera che molto meglio delle figure d’Andrea stava l’angelo di Lionardo» 4. Possiamo notare una resa più aggraziata nelle sembianze umane dell’angelo e una particolare cura nella ricerca degli effetti luminosi sul volto. Quell’angelo leonardesco, commissionato al Verrocchio dai monaci di San Salvi a Firenze, sembra «muoversi con la fluida naturalezza, addirittura con grazia divina» (Vasari).
Un buon modo per avvicinarsi a Leonardo pittore è partire da La Vergine delle rocce (foto 4), la prima opera realizzata da Leonardo a Milano, dove arriva nell’estate del 1482. Di questo soggetto sono note le due versioni autografe, quella del 1483 (circa) al Louvre, e quella del 1508 (circa) alla National Gallery di Londra; una terza versione, non autografa e forse eseguita nel 1497 (circa), con col-laboratore, oggi di ubicazione ignota, ma presente nella collezione Cheramy (Pedretti).
Questa copia, attribuita in passato al Gianpietrino, era stata citata da Jean-Auguste-Dominique Ingres e da Puvis de Chavannes, en-trambi convinti che si trattava di un originale di Leonardo. Studi recenti – sotto al dipinto è stato trovato un precedente disegno attribuibile a Leonardo – ne confermano l’attribuzione al maestro e collaboratori. La Vergine delle rocce raffigura l’incontro del piccolo Gesù con San Giovannino durante il ritorno dalla fuga in Egitto, in uno spazio aperto (con il ricorso alla “prospettiva atmosferica”). I soggetti appaiono legati gli uni agli altri da intense e misurate re-lazioni affettive, dentro un rigoroso schema piramidale che costru-isce una “dinamica degli sguardi” e al tempo stesso una “poetica degli affetti” non casuale ma teorizzata da Leonardo ed espressa in un mirabile e armonico sistema di coordinamento. La Vergine, il piccolo San Giovanni Battista, Gesù e l’Angelo sono inseriti nella umida cavità rocciosa e vi si fondono nello sfumato, nella luce provienente allo stesso tempo dal fondo della caverna e dall’alto. Ma le due versioni, quella di Parigi e quella di Londra, hanno im-portanti e misteriose differenze. Più grande e maestosa la Vergine nel quadro di Londra, dalla quale è sparito il gesto dell’angelo che nella versione del Louvre indicava San Giovannino. Diversa la struttura della luce, più intensa nella versione del Louvre. Più “realistici” e riconoscibili i due bambini nella versione di Londra. Il cinquecentenario di Leonardo è l’occasione di nuovi approfon-dimenti, ma si può star certi che il genio multiforme non finirà di stupire con nuove ipotesi, scoperte, suggestioni, interpretazioni. *
*Docente del Dipartimento Arti Visive dell’Accademia di Belle Arti Aldo Galli di Como. [rosacomo33@gmail.com]
NOTE
1. Questa citazione, insieme con altri frammenti, sullo stesso argomento è tratta
da pagine del Codice Arundel.
2. Lettera che invia a Milano all’illustrissimo Ludovico il Moro in cui elenca tutto ciò che sa fare e costruire “ponti leggerissimi e forti, bombarde comodissime e facile ad portare, vie secrete... ancora che bisognasse passare sotto fossi e alcun fiume, carri coperti, securi e inoffensibili, atti alla guerra, e in più per il tempo di pace edifici pubblici e privati e canali, insieme con l’esecuzione d’opere di pittura e scultura” [Mario De Micheli (a cura di ), Leonardo, l’uomo e la natura, Feltrinelli].
3. Leonardo scrive «Siccome una giornata bene spesa da’ lieto dormire, così una vita bene usata da’ lieto morire».
4. Giorgio Vasari, Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani, da Cimabue a’ tempi nostri (prima edizione 1550, seconda 1568).
1. Il 25 agosto del 1886 fu firmato il primo trattato di Amicizia e di Commercio tra Giappone e Italia, un importante atto formale che sanciva una collaborazione per il presente e il futuro con un popolo solo “geograficamente lontano”: cos. scrive Giuseppe Sala, sindaco di Milano nell’introduzione al catalogo della mostra di Milano e ancora; “ la cultura e in particolare l’arte sono la linfa di un rapporto di eccezionale vitalit.. Le affinit., sotto le forme diverse dei linguaggi sono profonde”.
2. La mostra “Hokusai, HIroshige e Utamaro. Luoghi e volti del Giappone”, a cura di Rossella Menegazzo, Catalogo Skira. Pi. di 200 opere che hanno affascinato un grande pubblico di visitatori interessati a conoscere le opere dei tre grandi protagonisti dell’arte Giapponese dell’Ottocento. Attraverso un percorso di oltre 200 opere, provenienti dalla Honolulu Museum of Art Collezion, una delle collezioni di Arte giapponese pi. importanti, . stato possibile ammirare e conoscere quel meraviglioso mondo giapponese fatto di luoghi, ambientazioni cittadine, paesaggi, scorci naturalistici e raffinate figure femminili che hanno conquistato l’Occidente.
3. La mostra curata da Rossella Menegazzo con Sarah E. Thompson . una produzione di Ales S.P.A Lavoro e Servizi e Mondo Mostre Skira, con la collaborazione del Museum ofFine Arts di Boston e il Patrocinio dell’Agenzia per gli Affari Culturali del Giappone e dell’ambasciata del Giappone in Italia.
4. Il termine “ukiyo-e” (immagini del mondo fluttuante) deriva da una metafora buddhista per indicare la sfera effimera dei piaceri terreni. I soggetti scelti dagli artisti per realizzare le loro silografie erano personaggi e scene del vivere e il mondo dei quartieri del piacere a Edo (l’attuale Tokyo), Kyoto e Osaka. I colori vivaci, le innovazioni compositive e le linee fluide dell’ukiyo-e suscitarono grande interesse in Occidente dando vita ad una moda detta “Japonisme” furono soprattutto i grandi artisti francesi, impressionisti e postimpressionisti Manet, Degas, Toulouse-Lautrec e Van Gogh a subirne il fascino. Van Gogh riprodusse ad olio due famose opere di Hirishige,: “L’albero” del 1886/87 e il famoso” Ponte sotto la pioggia” del 1887.
5. Un classico itinerario giapponese ., senza dubbio, ancora oggi, il percorso Tokyo-Kyoto. I viaggiatori che visitano il Giappone per la prima volta, scelgono questo percorso per farsi un’idea del Giappone moderno, Tokyo con i suoi grattacieli, ed esplorare i luoghi storici e tradizionali di Kyoto con i suoi famosi templi.6- Nel 1832 Hirishige segui, per una parte del tragitto da Edo a Kyoto, lungo la via del Tokaido, la delegazione che inviava i cavalli sacri in dono al l’imperatore. In quell’occasione realizz. degli schizzi e, ispirandosi a questi e alle illustrazioni delle guide di viaggio in uso, in quel periodo, produsse la prima serie delle “ cinquantatr. stazioni di posta”, quella certamente pi. famosa. La serie di stampe ebbe uno straordinario successo che venne pi. volte, negli anni successivi, anche in nuove edizioni, ristampata, anche con nuovi editori.