Percorsi migratori e violenza. Uno studio condotto presso lo Spazio Salute Immigrati dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Parma
FULVIO FRATI*, VERONICA NERI**
Migration routes and violence
A study carried out at the Immigrant Health Space of the Local Health Unit Parma, Italy The flows of migrants to Countries other than their territories of origin are certainly one of the most significant problems at the Italian, European and perhaps even Global levels: even today, many of them suffer direct experience of violence both in their own country, in transit countries and in countries of arrival, including Italy. The present study, conducted at the Immigrant Health Space of the Local Health Unit of Parma (Italy), tries to reconstruct connections between these experiences of suffered violence and mental disorders found in a sample of 141 migrants in the Province of Parma and followed by this Service in the three years from 2016 to 2018.
I flussi di migranti verso Paesi diversi dai loro territori di provenienza costituiscono oggi sicuramente uno dei problemi di maggior rilevanza a livello italiano, europeo e forse anche mondiale: ancor oggi molti di essi subiscono direttamente esperienze di violenza sia nel proprio Paese, sia nei Paesi di transito sia nei Paesi d’arrivo, inclusa l’Italia.
Il presente studio, condotto presso lo Spazio Salute Immigrati dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Parma (Italia), cerca di ricostruire eventuali connessioni tra tali esperienze di violenza subita e disturbi mentali riscontrati in un campione di 141 migranti presenti nella provincia di Parma e seguiti da questo Servizio nei tre anni dal 2016 al 2018 compresi
I flussi di migranti verso Paesi diversi dai loro territori di provenienza costituiscono oggi sicuramente uno dei problemi di maggior rilevanza a livello italiano, europeo e forse anche mondiale. Inoltre, il fenomeno delle migrazioni internazionali sembra aver assunto negli ultimi decenni una direzione geografica di fatto unica e costante, mentre il caso delle migrazioni nella direzione ad essa opposta costituisce ormai un elemento marginale e statisticamente pressoché irrilevante: e la direzione geografica in cui nella stragrande maggioranza dei casi tali spostamenti avvengono è quella che porta dalle Società più fragili e politicamente instabili a quelle più sicure e consolidate, e cioè dai Paesi economicamente più poveri a quelli economicamente più ricchi ed in grado di fornire, almeno nelle aspettative di chi li dovrebbe accogliere, maggiore sicurezza e maggiori prospettive future.
Nei secoli passati non è stato sempre così. Non fu ad esempio così per gli Europei che si spostarono nell’intero continente americano, nei decenni e nei secoli successivi al viaggio iniziale di Cristoforo Colombo: non fu così, sia prima della scoperta dell’America sia in tempi decisamente successivi ad essa, per gli Europei che con le loro navi (e, spesso, con i loro eserciti) colonizzarono vastissime zone dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania. E non fu così neppure per gli Ebrei provenienti da varie zone Europee che, dopo aver subito un vero e proprio genocidio da parte del regime nazista decisero, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e con il benestare delle Nazioni Unite, di lasciare l’Europa ed altre zone del cosiddetto “Occidente industrializzato” per andare a fondare, in una zona del Medio Oriente sino ad allora abitata solo da popolazioni nomadi o seminomadi (e perciò solo in piccola parte socialmente stabilizzata ed urbanizzata) l’attuale Stato di Israele.
Inoltre, anche le rilevanti deportazioni di schiavi provenienti dall’Africa verso le Americhe (e, in precedenza, verso i territori Arabi) che, invece, portavano queste persone da Paesi più poveri ed instabili ad altri almeno apparentemente più ricchi di prospettive per il futuro, furono in realtà molto diverse dai fenomeni migratori più recenti e ciò perché, sebbene a grandi linee seguissero la stessa direzione di questi ultimi, di fatto avvenivano con modalità coercitive tali da non poter essere certamente viste, da chi ne era vittima, come una via per migliorare la propria condizione esistenziale complessiva.
I fenomeni migratori di cui invece vorrei qui occuparmi – quelli per cui si sono mosse spontaneamente dai loro territori d’origine milioni di persone in cerca di un significativo miglioramento della propria qualità di vita – sono iniziati successivamente e con modalità del tutto diverse: si sono infatti sviluppati nei decenni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, all’inizio in maniera lenta e graduale e solo successivamente (all’incirca a partire dalla fine degli anni 1970) in modo dapprima più graduale e poi sempre più massiccio.
All’inizio, perciò, tali fenomeni migratori recenti non hanno generalmente generato nei Paesi accoglienti forti resistenze od opposizioni, e per circa tre decenni sono stati complessivamente – anche se, ovviamente, in misura diversa da Paese a Paese – accettati o quantomeno tollerati. In parte, anzi, all’inizio essi sono stati addirittura facilitati e in alcuni casi richiesti dalle stesse Nazioni accoglienti: si pensi, ad esempio, ai lavoratori italiani dell’industria mineraria o di quella edilizia che negli anni 1950 e 1960 hanno trovato lavoro in Belgio, in Germania o in Svizzera, ma anche alle popolazioni turche o nordafricane che già in quegli stessi decenni si trasferivano, per lavorarvi, in Germania o in Francia.
È però a partire all’incirca dall’inizio degli anni 1980 che tali fenomeni migratori, provenienti dalle zone più povere e spesso pericolose della Terra ed indirizzati verso Nazioni maggiormente prospere e stabili, hanno acquisito una rilevanza tale da far emergere, all’interno dei Paesi da essi interessati sia come mete da raggiungere sia come zone di semplice transito, anche movimenti – all’inizio più spontanei ed improvvisati, poi sempre più organizzati e strutturati – ad essi semplicemente opposti e, poi, successivamente, anche manifestamente ostili. Tali manifestazioni di ostilità verso i migranti, spesso organizzatesi in forme di violenza organizzata e di sistematica violazione dei più elementari diritti umani, appaiono poi essersi particolarmente acuiti in quest’ultimo decennio, ed in particolare dal 20 Ottobre 2011, data da cui essi hanno assunto un’organizzazione criminale sempre più definita e, a suo modo, efficiente.
Secondo la mia personale esperienza riguardo ai fenomeni migratori di questi ultimi dieci anni circa, peraltro, la violenza verso i migranti non è una caratteristica tragicamente presente solo nei Paesi di meta o di transito dei flussi migratori, ma è spesso rilevabile anche nei loro Paesi d’origine, ed è significativamente caratterizzabile come una delle cause che più spesso hanno dato origine all’avvio dei percorsi migratori stessi. Si è così verificata con una frequenza sicuramente non trascurabile, in questi ultimi dieci anni soprattutto, la tragica situazione di chi, per fuggire dalla violenza di cui era o poteva essere vittima nel proprio Paese d’origine, l’ha poi incontrata e sperimentata direttamente, e spesso anche in forma ancora più cruenta di quella da cui stava fuggendo, anche nei Paesi in cui si è poi venuto a trovare durante il proprio viaggio verso una meta considerata più sicura o, addirittura, dopo aver raggiunto la meta desiderata.
Ma cos’è accaduto il 20 Ottobre 2011, e perché questa è una data da tenere ben presente quando si parla di violenza verso i migranti? In tale giornata, dopo circa otto mesi di guerra civile, la Libia conobbe la fine del regime che per circa quarant’anni aveva guidato questo Paese, e che era stato ininterrottamente guidato per oltre quarant’anni (per l’esattezza dal 1° Settembre 1969) dal Colonnello Mu’ammar Gheddafi. Egli, inseguito dalle milizie dei rivoltosi riunite nel “Consiglio Nazionale di Transizione” (CNT), fu alla fine dei combattimenti catturato ed ucciso, segnando con la sua morte non solo la fine della guerra civile e di un regime sicuramente monocratico e dittatoriale, ma anche il crollo di un’efficiente – per quanto sicuramente discutibile - organizzazione istituzionale che aveva comunque garantito alla Libia qualche forma di governo sociale.
A seguito della caduta di Gheddafi, in altri termini, la Libia è sprofondata in un caos estremo, in cui il controllo sul territorio è passato dalle Forze dell’Ordine governative a milizie armate di svariata matrice ed origine, ed assai frequentemente prive di qualunque regolamento normativo a cui fare riferimento. In tale contesto, le migliaia di migranti che da quel momento si sono trovati sul suolo libico – sia uomini sia donne – sono rimasti assolutamente privi di qualunque forma di tutela dei propri diritti umani, e sono anzi stati visti dai gruppi armati locali come una risorsa da cui trarre proventi di vario tipo, soprattutto economici e sessuali, al di fuori di ogni controllo esterno che potesse operare nei confronti di tali migranti qualunque forma di tutela concreta.
Una delle conseguenze più evidenti di tale situazione è stata la detenzione in condizioni inumane, tuttora presente, di centinaia di migliaia di persone nei centri libici, una situazione più volte denunciata dalle organizzazioni internazionali che lavorano in difesa dei diritti umani ma che sino ad oggi rimane sostanzialmente presente ed immodificata e che, anzi, l’attuale situazione di instabilità e di conflittualità interna a questo Paese rischia addirittura di aggravare ulteriormente. La situazione di diffusa ed incontrollata instabilità presente in Libia dal 2011, con le conseguenti generalizzate condizioni di violenza e di violazione dei diritti umani che in tale Paese si sono radicate soprattutto in questi ultimi dieci anni circa, è particolarmente significativa soprattutto per quanto riguarda anche il nostro territorio nazionale perché, sebbene la Libia non sia il solo Paese di transito dei flussi migratori verso l’Europa, esso rappresenta il maggior punto di partenza verso l’Italia dei flussi provenienti dall’Africa, ed interessa inoltre una percentuale sicuramente molto significativa dei flussi migratori, diretti in Italia o comunque verso l’Europa, provenienti da vari Paesi asiatici.
Al 1° gennaio 2018 i cittadini stranieri complessivamente soggiornanti in Italia sono stati calcolati in circa 5.144.440: di questi, i cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia sono circa 3.714.934, con un incremento minimo (inferiore alle 800 unità) rispetto al 1° gennaio 2017. La comunità straniera più numerosa è quella proveniente dalla Romania con il 23,13% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dall’Albania (8,56%) e dal Marocco (8,10%). Per quanto riguarda invece la popolazione residente in Italia di origine extracomunitaria, tre Paesi più rappresentati coprono circa un terzo delle presenze: Albania (11,9%), Marocco (11,6%), Cina (8,3%).
L’incidenza complessiva dei minori è pari al 21,7%. Le principali etnie straniere attualmente presenti sul suolo italiano sono:
Circa 1 milione di rumeni (comunitari);
Circa ½ milione di albanesi (extracomunitari);
Circa ½ milione di marocchini (extracomunitari);
Circa 290 mila cinesi (extracomunitari);
Circa 237 mila ucraini (extracomunitari).
Le 16 principali comunità extracomunitarie presenti in Italia, in ordine di grandezza decrescente, sono le seguenti:
1) albanese, 8,56%
2) marocchina, 8,10%
3) cinese, 5,65%
4) ucraina, 4,61%
5) filippina, 3,26%
6) indiana, 2,95%
7) pakistana, 2,57%
8) bangladese, 2,57%
9) moldava, 2,56%
10) egiziana, 2,32%
11) srilankese, 2,10%
12) nigeriana, 2,06%
13) senegalese, 2,06%
14) peruviana, 1,89%
15) tunisina, 1,82%
16) ecuadoriana, 1,56%
Dal 2005 e nei 5-6 anni successivi c’è stato un fortissimo incremento di rumeni (circa triplicati), moldavi (circa triplicati), bulgari (circa triplicati), bengalesi, polacchi, indiani ed ucraini (circa raddoppiati).
Distribuzione degli stranieri sul suolo italiano
Le regioni dove gli stranieri si concentrano di più si trovano principalmente al nord, visto e considerato che questa è la parte d’Italia che necessità maggiormente di manodopera: un’elevata percentuale si registra però anche in Umbria. Inoltre, grazie anche all’elevato numero di turisti che visitano queste regioni, all’interno di esse vengono offerte maggiori possibilità ai piccoli commercianti. In generale, le concentrazioni di stranieri sono maggiori nelle città di media o grande dimensione, come ad esempio Roma, Torino o Brescia.
Regioni:
Emilia-Romagna, Lombardia (11 % di stranieri)
Umbria (11 %)
Friuli-Venezia Giulia (8,5 %)
Piemonte (8,5 %) …
Regioni del sud Italia (3 %)
Città:
Roma
Milano
Torino
Molti stranieri sono peraltro presenti soprattutto nelle città di media grandezza, ad esempio:
19 % di stranieri a Brescia (città con maggiore percentuale);
Reggio Emilia (29 mila stranieri).
Fedi religiose oggi maggiormente presenti nella popolazione straniera in Italia
Cristiani ortodossi: 2,5 milioni (Ucraina, Romania, Bulgaria, Moldavia …)
Cattolici: 900 mila
Musulmani: 1 milione e 550 mila
Induisti e Buddisti: in numero minore
Un fattore che caratterizza molto gli stranieri presenti in Italia è la loro età media: infatti essa è molto più bassa rispetto alla nostra, il che significa che i processi migratori interessano soprattutto persone giovani.
Inoltre, le nascite degli stranieri sono maggiori rispetto a quelle italiane, per cui, in un futuro probabilmente non lontano, la nostra fascia lavorativa sarà composta prevalentemente da stranieri.
Età media degli stranieri: 32,5 anni (nascite di stranieri maggiori a quelle italiane) Età media degli italiani: 44,3 anni.
Livello di istruzione e situazione occupazionale
Non c’è una grossa differenza tra l’istruzione straniera e quella italiana, ma gli imprenditori quasi sempre preferiscono assumere un lavoratore italiano piuttosto che uno straniero, probabilmente perché quello italiano, non avendo problemi linguistici, può essere subito produttivo, mentre lo straniero spesso non lo è.
39,4 % di italiani con diploma di scuola media
38,9 % di stranieri con diploma di scuola media.
I permessi rilasciati per motivi di lavoro rappresentano attualmente il 4,6% dei nuovi titoli di soggiorno. La quota di titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo sta infatti crescendo rispetto al totale dei regolarmente soggiornanti (61,7%). Sono 754mila, negli ultimi 6 anni, i cittadini di origine non comunitaria diventati italiani (135.814 nel 2017).
Attualmente il 9,7% della forza lavoro in Italia è di cittadinanza non comunitaria. Il tasso di disoccupazione femminile risulta elevato soprattutto in comunità come la tunisina (51,2%), la bangladese (46,6%), l’egiziana (44,5%).
Il 70% degli occupati stranieri di età compresa tra i 15 e i 64 anni risulta iscritto ad una delle prime quattro confederazioni sindacali italiane; si tratta di un milione e centomila persone, un decimo del totale degli iscritti. Il 79% delle imprese a conduzione straniera è guidato da cittadini non comunitari. Crescono in particolare le imprese individuali (+2,1%), soprattutto nelle comunità di origine asiatica (pakistana: +10,6%; srilankese: +6,9%; indiana: +6,4%) ed europea (moldava: +6,3%; ucraina: +5,5%).
Nel 2017, l’80% delle rimesse (4 miliardi di euro) è diretto verso Paesi non comunitari. I primi due Paesi di destinazione sono il Bangladesh e le Filippine. L’indice di bancarizzazione indica una quota di “esclusi” dal settore finanziario in costante diminuzione: dal 40% del 2010 all’attuale 28%.
La violenza nel mondo secondo i rapporti annuali degli ultimi dieci anni di Amnesty International
Amnesty International fu fondata nel 1961 con la chiara missione di creare un movimento di solidarietà internazionale che contrastasse attivamente le violazioni dei diritti umani in ogni territorio del mondo. Cinquanta anni dopo, il mondo è sicuramente cambiato: tuttavia, oggi più che mai, la mission fondamentale di questa organizzazione è ancora quello di unire le forze per cercare di difendere i fondamentali diritti umani praticamente in ogni Paese di questo Pianeta, anche perché, come dimostra l’analisi dei loro Rapporti Annuali dal 2010 al 2018, la situazione dei diritti umani in oltre 150 Paesi e territori è e rimane generalmente preoccupante, e le situazioni di violenza a cui vanno incontro le popolazioni oggi maggiormente interessate dai fenomeni migratori (sia nei loro Paesi d’origine che in quelli di maggiore transito, in particolare la Libia) costituiscono a tutt’oggi un fattore presente in modo massiccio in tutti i cinque Continenti, nessuno escluso.
La situazione nella provincia di Parma
Gli stranieri residenti in provincia di Parma al 1° gennaio 2018 erano 62.417, rappresentando perciò il 13,9% della popolazione residente in Regione. Nel comune di Parma, in particolare, sono 32.306 i cittadini stranieri residenti al 1° gennaio 2018.
La stragrande maggioranza di questi cittadini stranieri è in possesso di regolari documenti che consentono loro di accedere in modo sostanzialmente assimilabile a quello dei cittadini italiani, tramite la disponibilità e l’utilizzo eventuale della vera e propria “Tessera Sanitaria”, ai Servizi di cura sia territoriali che ospedalieri facenti capo al “Servizio Sanitario Nazionale” (“S.S.N.”). Ciò avviene, di norma, attraverso una prima fase di diagnosi e di orientamento effettuata da parte dei cosiddetti “Medici di base” (e cioè i Medici di Medicina Generale per gli adulti sopra i 14 anni ed i Pediatri di Libera Scelta per i minori di 14 anni).
Una piccola parte di stranieri presenti sul nostro territorio Provinciale, tuttavia (per lo più, ma non soltanto, i cosiddetti “R.T.P.I.”, cioè i “Richiedenti e Titolari di Protezione Internazionale”), di solito nei primi due anni-due anni e mezzo di permanenza nel nostro Paese non accedono in prima istanza ad un vero e proprio “Medico di Base”, sia perché in genere essi non sono ancora in possesso dei documenti necessari ad ottenere la vera e propria “Tessera Sanitaria” sia perché, per la permanenza di significative “barriere” linguistiche o culturali, trovano particolarmente difficile accedere a queste figure mediche che quasi mai dispongono di Mediatori Linguistici e Culturali provenienti dalle stesse Aree geografiche di origine di tali migranti. Per questo particolare tipo di utenza, pertanto, da oltre vent’anni è attivo presso l’Azienda U.S.L. di Parma un Centro specifico, lo “Spazio Salute Immigrati”, che ha come propria mission principale il tutelare ed il promuovere la salute dei migranti nel loro nuovo contesto di vita in Italia sia attraverso la presenza di specifiche competenze professionali sia grazie all’utilizzo di particolari ausili atti a far superare il più possibile tali “barriere”. Questo Centro cerca soprattutto di facilitare per questi migranti l’uso appropriato dei Servizi Sanitari presenti nel territorio provinciale, combinando strategie comunicative orientate alla tutela della salute con competenze tecniche e culturali di tipo multidisciplinare integrato (secondo l’approccio cosiddetto bio-psico-sociale) ed operando il più possibile in rete con gli altri servizi sociali e di accoglienza presenti nella Provincia. Gli operatori sanitari presenti in tale struttura (in particolare Medico infettivologo, Pediatra, Infermieri e Psicologo) vi svolgono pertanto attività coordinate di prevenzione, diagnosi, cura e supporto alla “cura di se stessi” (self care).
Negli anni dal 2014 al 2018, la popolazione migrante che è stata presa in carico da questo particolare Servizio sanitario può essere così quantificata: Pazienti in carico allo Spazio Salute Immigrati di Parma negli anni dal 2014 al 2018 compresi (dati al 31.12.2018). Non tutti questi pazienti, tuttavia, sono riconducibili alla categoria dei cosiddetti “R.T.P.I.”, cioè i “Richiedenti e Titolari di Protezione Internazionale”: molti di essi continuano infatti ad accedere a questo Servizio, per le ragioni sopra menzionate, anche se in possesso della Tessera Sanitaria, proprio per la permanenza di tali barriere culturali e/o linguistiche. In particolare, i pazienti “R.T.P.I.” afferenti a tale Servizio negli anni dal 2014 al 2018 compresi sono stati i seguenti: Pazienti R.T.P.I. (Richiedenti e Titolari di Protezione Internazionale) in carico allo Spazio Salute Immigrati di Parma negli anni dal 2014 al 2018 compresi (dati al 31.12.2018).
Una parte significativa di questi pazienti, negli ultimi tre anni, ha manifestato tutta una serie di problematiche di tipo psicologico che l’hanno portata all’attenzione delle figure professionali dello Psicologo dello Spazio Salute Immigrati di Parma e, in alcuni casi, dello Psichiatra del Servizio di Salute Mentale territorialmente competente. Per molti di questi pazienti sono state rilevate forme significative di disturbo psichico, e sono state quindi formulate diagnosi psicologiche o psicopatologiche più specifiche come evidenziato nella seguente tabella: Diagnosi psicologiche / psicopatologiche presso lo Spazio Salute Immigrati di Parma negli anni 2016-2018.
(Totale utenti diagnosticati da Psicologo o Psichiatra del Servizio: n. 141)
Sulla base di tali dati, in rapporto alla media di utenti in carico allo Spazio salute Immigrati dell’Azienda U.S.L. di Parma nel medesimo triennio 2016-2018 (N. = 589) è stata calcolata la cosiddetta prevalenza periodale di ognuna di tali psicopatologie nella popolazione “R.T.P.I.” afferente a tale Servizio, vale a dire la misura percentuale della frequenza di ognuno di tali disturbi rispetto alla media degli utenti in carico a tale Centro nel medesimo triennio. Essa è riassunta nella seguente tabella: Prevalenza dei disturbi psichici/psichiatrici registrati presso lo S.S.I. di Parma negli anni 2016-2018.
Il grafico appena riportato ci mostra un profilo in parte simile a quello riportato nello studio di “Medici Senza Frontiere” nel 2016, che ha anch’esso rilevato come i disturbi psicopatologici più frequenti tra i migranti siano, anche se non nel medesimo ordine, il Disturbo Post-Traumatico da Stress, il Disturbo da Ansia generalizzata e i Disturbi Depressivi o dell’Umore.
Le più frequenti diagnosi psicopatologiche tra i migranti
Per valutare un’eventuale relazione tra la presenza di questi disturbi e la presenza di esperienze di violenza subita che potessero in qualche modo contribuire alla spiegazione della loro genesi, sono stati più specificatamente indagati i percorsi migratori di questi 141 soggetti con il preciso obiettivo di individuare l’esistenza di episodi significativi di violenza da essi subiti nel proprio Paese d’origine, e/o durante il viaggio che li ha condotti in Italia e/o, infine, durante la loro permanenza in Italia. Tale indagine ha mostrato un’altissima presenza di esperienze di violenza nella storia migratoria di queste 141 persone, come riportato nella tabella seguente. Esperienze dirette di violenza nei pazienti dello S.S.I. di Parma con problemi psicologici / psichiatrici
(Pazienti con dirette esperienze di violenza subite in prima persona nel proprio Paese d’origine, durante il viaggio dal proprio Paese all’Italia e/o in Italia).
Poiché una quota significativa di questi Pazienti ha subito dirette esperienze di violenza in più di uno di questi contesti (ad esempio sia nel proprio Paese d’origine sia durante il viaggio, oppure sia nel proprio Paese d’origine che in Italia ecc.) la tabella seguente evidenzia, infine, sia il numero assoluto sia la quota percentuale di tali pazienti con problemi psicologici e/o psichiatrici che hanno subito dirette esperienze di violenza nel corso di tutto il loro percorso migratorio, differenziandoli da quelli che, pur presentando problematiche psicologiche significative, non hanno manifestato esperienze di violenza in alcuna di queste tre fasi del loro viaggio sino all’Italia.
Esperienze dirette di violenza nei pazienti dello S.S.I. di Parma con problemi psicologici / psichiatrici (Pazienti con dirette esperienze di violenza subite in prima persona nel proprio Paese d’origine, durante il viaggio dal proprio Paese all’Italia e/o in Italia)
L’ultimo quesito al quale ci pare ora utile cercare di rispondere è pertanto il seguente: tra i vari disturbi diagnosticati in questi ultimi tre anni ai suddetti pazienti con problemi psicologici/psichiatrici presso lo Spazio Salute Immigrati dell’Azienda U.S.L. di Parma, le esperienze di violenza subite (e, contestualmente, anche l’assenza eventuale di esperienze significative di violenza nella propria storia individuale) hanno inciso in modo significativo sull’insorgenza o meno non solo di disturbi psichici, ma anche di specifici disturbi psichici? Anche da questo punto di vista lo studio da noi condotto risulta molto indicativo, in quanto appare molto netto – nel campione da noi esaminato – che l’aver subito esperienza di violenza risulta un fattore importantissimo nello sviluppo di alcune psicopatologie specifiche (che potremmo quindi considerare come, almeno il più delle volte, di tipo “reattivo”), mentre altri fattori esperienziali e congeniti, anche in assenza di episodi significativi di violenza nella propria storia individuale, possono sicuramente costituire un ostacolo al raggiungimento di un adeguato benessere psicologico, anche se possono contribuire alla genesi di psicopatologie reattive in misura probabilmente meno intensa dell’aver subito dirette esperienze di violenza nella propria storia individuale. Diagnosi psicologiche / psicopatologiche presso lo Spazio Salute Immigrati di Parma negli anni 2016-2018 in relazione alle esperienze di violenza subite
Tutti questi dati andrebbero, ovviamente, ulteriormente sviluppati ed approfonditi anche attraverso l’uso di più sofisticate metodologie statistiche. Già da un loro primo immediato esame, tuttavia, la correlazione tra esperienze di violenza subita in prima persona e la manifestazione di disturbi psicologici significativi appare a nostro avviso evidente, manifesta, inequivocabile, poiché episodi di violenza significativa si registrano in più di due terzi (99 vs. 42, su un totale di 141) dei pazienti con diagnosi di disturbi psicologici conclamati tendendo, in genere, a far sviluppare specifiche forme di psicopatologie e, in particolare, il Disturbo Post Traumatico da Stress, il Disturbo d’Ansia generalizzata e il Disturbo da Disadattamento Sociale.
La conclusione che si può trarre da questo studio, a nostro avviso, è che l’azione tesa a sviluppare migliori condizioni di equilibrio e di benessere psichico nelle popolazioni contemporanee di vaste aree del nostro Pianeta non dovrebbe più, ormai, limitarsi ad un’azione “a valle” con l’ausilio di strumenti psicologici ed eventualmente psicofarmacologici, ma dovrebbe comprendere anche (e probabilmente soprattutto) un’azione “a monte” tesa a prevenire, e non solo a curare, quelle esperienze di violenza, emarginazione e degrado che spesso, di tali disturbi, costituiscono una componente eziologica non solo significativa, ma probabilmente essenziale.
* Psicologo, Psicoterapeuta, Criminologo Clinico presso lo Spazio Salute Immigrati dell’Azienda U.S.L. di Parma – Via XXII Luglio 27 – 43123 Parma [email: ffrati@ausl.pr.it].
** Veronica Neri, Dottore in Scienze e Tecniche Psicologiche.
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