Costrutti e cambiamento in psicoterapia. Il versante libertà-determinismo
SARA SCACCHETTI, Psicologa
Costrutti e cambiamento in psicoterapia. Il versante libertà-determinismo
Personal constructs and change in psychotherapy. From determinism to freedom
La presenza di strutture cognitive profonde deputate a organizzare, anticipare e rappresentare l’esperienza era stata riconosciuta da Freud nella teoria del transfert (Semerari, 1996, p. 106). Rogers ne parla dapprima negli anni ’30, basandosi sulle proprie intuizioni cliniche e, in seguito, nella sua teoria della personalità (1951); Kelly ne fa l’oggetto del suo lavoro più famoso The Psychology of Personal Constructs (1955). La stessa concezione è rintracciabile negli scritti di Bowlby (1969), quando descrive il sistema motivazionale dell’attaccamento, e i sistemi individuali anticipatori, internal working models. Con il termine costruttivismo, si intende «la posizione filosofica secondo cui la realtà conosciuta non precede la conoscenza, ma viene a qualche livello costruita, o ri-costruita, dal soggetto conoscente» (Kelly, 1955/2004, p. XI).
I costrutti: George A. Kelly e Carl Rogers
Per Kelly (1955) e Rogers (1951), i costrutti sono punti prospettici dai quali osser-vare il mondo.
In The Psychology of Personal Constructs (G. Kelly, 1955), il costrutto è descritto come ‘schema di lettura’ degli eventi (per predirli, controllarli, dare loro un significa-to) e si crea a seguito di esperienze vissute, stimoli provenienti dal proprio ambiente familiare, sociale, culturale.
Il concetto cardine della psicologia dei costrutti personali, cioè che: «esistono molteplici modalità alternative ugualmente valide per interpretare la realtà» (Kel-ly, 1955/2004, p. XI), appare rivoluzionario se si considera che negli anni Cin-quanta il modello prevalente era quello comportamentista, basato sulla dinamica stimolo>risposta. La proposta di Kelly intendeva restituire un proprio spazio alla sfera soggettiva: «lo scopo precipuo dell’uomo è predire e controllare gli eventi, ossia attribuire ad essi un significato» (ibidem, p. XII), e sostenere l’ipotesi dell’uomo-scienziato, «motivato da ragioni epistemiche, in grado di adattare attivamente a sé il proprio ambiente, grazie alla capacità creativa di rappresentarsi l’ambiente e non semplicemente di rispondere ad esso». In senso generale, un costrutto è «una rappresentazione dell’universo, elaborata da una creatura vivente e poi verificata rispetto alla realtà di quell’universo» (Kelly, 1955/2004, p. 9); viene utilizzato dal soggetto per fare previsioni che, alla prova dei fatti, risulteranno adeguate o non adeguate, con conseguente adattamento e revisione del costrutto originario.
Anche il ‘concetto di sé’ è un costrutto sovraordinato, costituito da attributi e attribuzioni che il soggetto riferisce a se stesso, e dalle valutazioni provenienti dall’ambiente esterno. Kelly lo definisce ‘ruolo nucleare’ e, riprendendo Lecky (1945), afferma che la principale motivazione al comportamento è appunto il bisogno di mantenere il senso di coerenza del sé.
È quindi attraverso il sistema dei costrutti che il soggetto percepisce la realtà: essi vengono validati o non validati dall’esperienza e, secondo il grado di flessibilità del sistema, possono essere modificati o sostituiti. «I costrutti sono gerarchicamente organizzati in sistemi e sono soggetti a verifica rispetto alla loro utilità nell’aiutare la persona ad anticipare il corso degli eventi che costituiscono l’universo… Nella struttura di un sistema, determinismo e libertà rappresentano gli aspetti direzionali del sistema stesso… un costrutto è determinato da quegli elementi con i quali l’indi-viduo ritiene di dover essere sempre coerente ed è libero rispetto a ciò che lo stesso individuo ritiene di dover sempre considerare come subordinato» (Kelly, 1955, p. 38). Un costrutto sovraordinato, più stabile rispetto ai costrutti periferici o subordinati, rappresenta i valori ritenuti essenziali dall’individuo, importanti per l’identità perso-nale. Le relazioni gerarchiche fra costrutti servono a garantire la coerenza interna del sistema, a limitare il rischio di incompatibilità predittiva tra i costrutti, a mantenere un certo livello di flessibilità e la possibilità di cambiamento.
L’approccio terapeutico al disagio psichico presuppone una diagnosi del sistema dei costrutti del paziente, un percorso di rieducazione e un processo di cambiamento dei costrutti disfunzionali.
Kelly morì nel 1967 a Boston, dove era stato invitato da Maslow alla Brandeis Uni-versity: la sua opera si diffuse in Europa, negli anni ’60 grazie all’iniziativa di due psicologi costruttivisti inglesi, Don Bannister e Fay Fransella, e dell’olandese Hans Bonarius, ma la pubblicazione completa dei suoi lavori, curata da Bannister e Fran-sella, uscì con l’Editore Routledge a Londra nel 1991.
Il tema ricorrente e fondamentale è il cambiamento: l’obiettivo della buona psico-terapia è la conquista di modalità più libere di approccio alla realtà; il paziente può scegliere se modificare/sostituire i propri costrutti, «ri-costruendo la propria vita» (Kelly, 1955, pag. 17). Un passaggio importante è l’incontro con il Sé, uno dei più determinanti costrutti personali, un Sé differenziato dalle altre individualità: «la gran parte della vita sociale di una persona è controllata dai confronti che essa giunge a vedere fra sé e gli altri…Quando una persona inizia ad usare se stessa come un dato nel formare costrutti… scopre che i costrutti che forma funzionano come controlli rigorosi del proprio comportamento» (ibid. p. 121).
Kelly parla di libertà e indipendenza anche per lo psicoterapeuta: «Lo psicologo dovrebbe… mantenere sempre una certa indipendenza rispetto alla propria teoria… Anche i risultati sperimentali non forniscono mai una prova definitiva della sua ve-rità» (ibid. p. 39).
Come sviluppare nuovi e più efficaci costrutti? Il modo più semplice suggerito da Kelly è quello di sperimentare elementi nuovi e diversi. Il terapeuta può essere di grande aiuto al paziente, per esempio fornendogli nuovi elementi verbali.
L’Autore ha potuto verificare personalmente la validità e l’efficacia nell’ambito della psi-coterapia infantile della parola nello sviluppo di storie costruite con i piccoli pazienti: i nuovi costrutti, elaborati attraverso la storia, sostituivano gradualmente i costrutti inadeguati. Un altro valido strumento di cura è il role-playing, che permette al paziente di sperimentare ruoli nuovi, anche se artificiali, e lo sollecita a cambiare, nei limiti del possibile, la propria rappresentazione della realtà. Kelly sottolinea quanto sia arduo il compito del terapeuta e quanto sia importante possedere specifiche capacità verbali; è necessaria inoltre una capacità di attenzione a quanto accade nel paziente per non correre il rischio di confermare, invece di sostituire, i costrutti disfunzionali, e per evitare che elementi nuovi, se contrari a uno o più costrutti personali o se richiamano esperienze traumatiche, possano risultare intollerabili per il paziente.
Il cambiamento amplifica l’esperienza, presentando aspetti di novità all’apprendi-mento del soggetto. L’apprendimento è sinonimo e costruttore di esperienza:
«L’esperienza è quella porzione dell’universo che accade a noi – cioè che noi costru-iamo in tempi successivi – e l’aumento di esperienza… è funzione delle successive revisioni del nostro sistema costruttivo nella direzione di un incremento della sua validità» (ibid. p. 160).
Numerosi richiami alla teoria costruttivista di G. Kelly sono presenti nella teoria della personalità di Carl Rogers (Rogers, 1951/2007), formulata sulla base dell’esperienza clinica e di intuizioni originali maturate negli anni ’30. Per Rogers, sostenitore di un approccio non-direttivo nella relazione con il ‘cliente’, lo strumento della cura è la qualità della relazione terapeutica. Il ruolo più significativo è riservato alle emozioni (Rogers, 1951/1989/2007), non trascurate neppure da Kelly. Il terapeuta deve essere capace di empatia e di accettazione incondizionata, avere fiducia nelle risorse ripa-ratrici del cliente ed essere congruente rispetto al proprio sentire.
A sostegno della sua teoria, Rogers precisa che: «È una teoria fondamentalmente fenomenologica e utilizza il concetto di sé come costrutto esplicativo» (Rogers, 1951/2007, p. 393). Il più recente approccio cognitivo-costruttivista si è progressi-vamente avvicinato alle posizioni rogersiane. Ciò che distingue l’approccio rogersia-no dall’approccio cognitivo-costruttivista è la centralità dell’esperienza organismica. Rogers affida la verità dell’esperienza ai ‘fatti’ e considera l’esperienza organismica l’unico affidabile ‘dato di realtà’: la distorsione o negazione di esperienze organi-smiche che contrastano con il concetto del sé possono creare disfunzioni e disa-gio psichico. Individua nello stadio evolutivo del bambino la fase del ciclo di vita nella quale si possono instaurare fenomeni psichici come distorsione o rimozione dell’esperienza, che possono essere «determinanti per il successivo svilupparsi di forme di disadattamento psicologico» (ibid. p. 361); sottolinea che la prima e più importante esperienza del bambino è «essere amato dai genitori», e che, quando è amato, «Egli percepisce se stesso come amabile, come degno d’amore e percepisce la sua relazione con i genitori come una relazione di affetto. Il bambino vive tutto questo con soddisfazione. Questo è un nucleo importante della struttura del sé agli inizi del suo sviluppo» (p. 361). Questa esperienza diventa uno schema, un costrutto nucleare, al quale si agganceranno, con il proseguire della crescita, altre esperien-ze e valutazioni. Si deve dunque a Rogers, oltre all’introduzione della terapia non direttiva, la formulazione di una teoria del concetto del sé e della coerenza del sé fondata sull’esperienza organismica: il disagio registrato a livello viscerale è causato dall’incongruenza tra concetto del sé ed esperienza vissuta.
Il lavoro terapeutico è un percorso di ricerca e di approfondimento dell’esperienza organismica del soggetto, del significato e ruolo delle sue credenze e dei suoi costrutti, della loro influenza sul sense of coherence e sul comportamento individuale. I dati raccolti sono necessari per instaurare un processo di consapevolezza, definibile come ‘processo terapeutico’ e anche ‘promozione del cambiamento’, nel corso del quale l’obiettivo dell’azione terapeutica è l’integrazione e armonizzazione di elementi di conoscenza, aspetti cognitivi, stati emozionali, mentali ed organismici. Il terapeuta può aiutare il paziente a modificare i propri costrutti disfunzionali e a costruire va-rianti ed alternative più efficaci.
Gli strumenti del terapeuta rogersiano sono empatia, accettazione incondizionata, congruenza, in un processo del quale numerose ricerche hanno dimostrato la validità (Rogers, 1951/89/2007; Rogers & Kinget, 1965-66/1970). Nell’ottica della ‘promozione della salute’ (Carta di Ottawa, 1986), lo studio dei fat-tori di resilienza ha messo in luce la capacità dell’essere umano di riorganizzare positivamente la propria vita nonostante le criticità.
Attività mentale e costrutti: il Cognitivismo-costruttivismo
Walter Mischel, un allievo di Kelly, affermò: «Molto prima che la psicologia cogniti-va esistesse, Kelly creò una teoria della personalità realmente cognitiva» (Mischel, 1980, p. 86). Gli psicologi cognitivisti riconoscono a Kelly il merito di aver aperto nuovi orizzonti alla psicoterapia: «una visione della conoscenza come processo di costruzione e ricostruzione ricorsiva dell’esperienza è alla base della psicoterapia dei costrutti personali (Kelly, 1955; Epting, 1984) che può essere considerata l’an-tesignana degli approcci costruttivisti al cambiamento» (Chiari e Nuzzo, 1996, pp. 37-38).
Gli Autori identificano come costrutti anche la mente e il corpo, «deputati a segmen-tare, per ben delimitati fini cognitivi, una realtà soggettivamente costruita» (Chiari e Nuzzo, 1996, p. 38).
Tuttavia molti altri autori (Fransella e Neymeyer, 2003; Chiari e Nuzzo, 2003; Casti-glioni, 2004) non condividono questa attribuzione ed evidenziano come Kelly non ponesse quella frattura fra cognition ed emotion, fra cognizione ed emozione, riscontrabile invece nell’ambito delle teorie cognitiviste, almeno fino a tempi relativa-mente recenti. Castiglioni vede la posizione di Kelly molto vicina a quella di Bruner (1990), il quale polemizzò contro la metafora computazionale cognitivista a favore di una visione dell’uomo come ‘ricercatore di significato’. Nella recensione all’opera di Kelly, Bruner (1956) aveva infatti sottolineato come, attraverso le dimensioni semantiche dei costrutti personali, l’uomo possa dare senso a se stesso, al mondo, alle relazioni interpersonali.
Un altro elemento di diversità rispetto al cognitivismo, individuato dagli psicologi costruttivisti Fransella e Neimeyer, è quello della value free orientation: nella terapia costruttivista i significati personali del cliente vengono accettati così come sono, e il terapeuta cerca di comprenderne il punto di vista (Fransella e Neimeyer, 2003). A loro volta gli scienziati e i ricercatori cognitivisti dichiarano di avere come «ogget-to privilegiato di studio le strutture e i processi con cui si organizzano e si elaborano le conoscenze e gli scopi» (Mancini, 2002, p. 10) e che il termine ‘cognitivo’ «non va inteso nel senso di ‘mentale’… ma come sinonimo di ‘conoscitivo’» (Chiari e Nuzzo, 1996, p. 38). A supporto, riferiscono i risultati delle ricerche, le quali evidenziano come il sistema cognitivo sia un sistema relativamente coerente (Castelfranchi e Mi-celi, 2002, p. 55) e che le «categorie costitutive dell’attività mentale, conoscenze e scopi» (Mancini, 2002, p. 11) possono essere formalizzate in «motivazioni, credenze, obiettivi, desideri, intenzioni” e “stati mentali condivisi» (Bara e Cutica, 2002, cap. 9). È stata inoltre rilevata una caratteristica di resistenza al cambiamento insediata nel sistema, confermando le intuizioni/ipotesi dei costruttivisti. L’assunto di base del cognitivismo afferma che «i pensieri, i comportamenti, gli atteggiamenti” sono regolati “dalla mente della persona, dal suo sistema di significati» (Mancini e Gan-gemi, 2002, p. 201). Il concetto di mente sottintende l’attività, e/o l’apparato ad essa preposto, di regolazione finalistica del comportamento sulla base di rappresen-tazioni. L’apparato mentale «costruisce, elabora, mantiene rappresentazioni al fine di regolare sulla loro base, in modo orientato ad uno scopo, il comportamento di un sistema agente, un sistema che modifica il suo ambiente» (ibidem).
Le categorie costitutive dell’attività mentale sono, in questa prospettiva, «le cono-scenze (assunzioni, credenze) e gli scopi» (ibidem).
I clinici cognitivisti (Beck, 1976; Ellis, 1962; Guidano, 1987) tracciano una linea di continuità tra atteggiamenti normali e atteggiamenti psicopatologici: entrambi sono regolati dal sistema di conoscenze e scopi dell’individuo, costruttore attivo della propria esperienza, il quale sperimenta emozioni per il significato che attribuisce ai fatti, avendo sempre la possibilità di costruire significati alternativi (Kelly, 1955; Ellis, 1962; Beck, 1967; Guidano e Liotti, 1983; Reda, 1986). Kelly (1955) definiva ‘disfunzione psichica’ qualunque costruzione che continuasse ad essere utilizzata nonostante ripetute e consistenti invalidazioni.
Il cognitivismo clinico assume che “gli stati mentali, le emozioni e le linee di con-dotta dell’individuo siano da spiegare sulla base delle sue assunzioni e dei suoi scopi” (Mancini, 2002, p. 10).
Le ricerche sulle funzioni mentali e gli studi sulla teoria della mente hanno intro-dotto nuovi modelli di analisi, per esempio il nuovo modello dell’autismo (Baron - Cohen, 1995), definito in termini di deficit metacognitivo, una categoria estesa alla schizofrenia (Frith, 1992) e ai disturbi di personalità (Semerari, 1999).
La psicologia cognitiva ha potuto verificare che il sistema cognitivo umano elabora la realtà attraverso simboli e rappresentazioni. Tuttavia «… rifiuta la possibilità di una corrispondenza ultima con la realtà» (Chiari e Nuzzo, 1996, p. 31), e condivide una posizione di realismo critico: «esiste una realtà esterna, avente una sua struttura ben definita, ma la possibilità di conoscere tale realtà è limitata, almeno nel senso della completezza, se non della veridicità… la relazione tra conoscenza e realtà è nei termini di una corrispondenza incompleta» (Chiari e Nuzzo, 1996, p. 31). Per i cognitivisti- costruttivisti la ‘conoscenza’ può essere invenzione, rispecchiamento e rappresentazione: credenze e costrutti sono parte del processo di conoscenza. Piaget aveva delineato un’epistemologia radicale, ipotizzando che il processo di co-noscenza comportasse l’assimilazione e l’accomodamento a strutture preesistenti. Più recentemente, con il termine ‘costruttivismo epistemologico’, Chiari e Nuzzo (1996) hanno evidenziato la natura del rapporto fra intenzionalità (soggetto cono-scitivo) e realtà, il cui prodotto non è il rispecchiamento di una realtà ontologica oggettiva, ma «un ordinamento e un’organizzazione di un mondo costituito dalla nostra esperienza» (Chiari e Nuzzo, 1996, p. 35).
Successivi sviluppi della psicologia cognitiva, che recepiscono la concezione del-la conoscenza postulata dalla filosofia fenomenologica ed ermeneutica di Husserl, Heidegger, Merleau-Ponty, Gadamer, Foucault, Habermas, dagli studi dei biologi Ma-turana e Varela (1980, 1987) e dalla cibernetica, fanno intravedere la possibilità di un costruttivismo ancor più complesso, «un vero e proprio tertium datur» (ibidem) rispetto ai poli tradizionali che oppongono realismo, secondo il quale gli oggetti esterni esistono indipendentemente da noi, ed idealismo, che sostiene che solo i fe-nomeni mentali sono reali. «Un agente cognitivo è un agente che basa le sue decisio-ni, le sue intenzioni e azioni sulle sue credenze» (Castelfranchi e Miceli, 2002). Allo stesso modo Sigmund Freud aveva parlato di inconscio e di conoscenze inaccessibili all’esperienza che tuttavia influenzano il comportamento.
Le credenze hanno un ruolo importante nell’alimentare la sofferenza psichica, un fenomeno che viene di solito descritto in termini di «specifiche forme di disagio, conflitto, fattori di stress o emozioni negative» (Miceli e Castelfranchi, 2002, p. 57). Gli stati mentali ed emotivi correlati vengono spesso raggruppati sotto il termine distress o discomfort e includono tristezza, depressione, ansia e rabbia (Barnett, Brennan et al., 1995; D’Angelo, Weinberger e Feldman, 1995; Mirowsky e Ross, 1995; Préville, Potvin e Boyer, 1995; Zahn-Waxler, 1995).
Inoltre, sottolineano i cognitivisti, le credenze intrattengono legami con gli sco-pi della persona: «le conoscenze» (termine utilizzato per sottintendere motivazioni, obiettivi, desideri, credenze, intenzioni), «sono funzionali al raggiungimento degli scopi, e quindi il loro legame con questi interferisce con l’acquisizione, il manteni-mento, e il cambiamento delle credenze» (Castelfranchi e Miceli, 2002, p. 60). La qualità, l’intensità e la rilevanza del legame giocano un ruolo nella resistenza al cambiamento: «l’agente cognitivo preferisce rigettare le credenze meno rilevanti… e quelle sgradite» (ibidem). Il principio descritto è alla base dei meccanismi di difesa «volti ad evitare la sofferenza ingenerata da credenze» (ibidem, p. 57). Le strategie di difesa possono riguardare anche gli scopi, soprattutto quelli non tollerabili o non raggiungibili e perciò dolenti; di conseguenza: «per attaccare uno scopo bisogna so-stanzialmente lavorare sulle credenze» (ibidem, p. 61). Stimolare il cambiamento è un obiettivo comune a diversi orientamenti teorici e assume in questo contesto il signifi-cato di demolire credenze: però, per «demolire una credenza è necessario demolire le credenze ad essa connesse» (Miceli e Castelfranchi, 2002, p. 58). L’operazione richiede quindi la ‘demolizione’ della credenza forte, e l’attacco alle premesse inferiori, e può causare disagio di varia intensità.
Gli psicologi cognitivo-costruttivisti concordano sull’ipotesi che gli organismi dotati di regolazione cognitiva costruiscono rappresentazioni del mondo interno ed esterno e che il ‘contenuto’ psichico, formato da scopi, desideri, motivazioni, sensazioni, emozioni, percezioni, ecc. entra in gioco e si confronta con il raggiungimento o il non raggiungimento degli scopi/obiettivi. Gli autori ribadiscono che il set-point, ossia lo scopo da raggiungere, è «costituito da una rappresentazione (stato regolato-re)» e che questa rappresentazione viene «confrontata con un’altra rappresentazione, lo stato percepito, il mondo com’è» (Miceli e Castelfranchi, 2002, p. 65). Lo ‘stato regolatore’ è il prototipo dell’oggetto mentale fondamentale chiamato ‘scopo’, che in realtà è costituito da una complessa famiglia di desideri, bisogni, aspirazioni, intenzioni, mentre lo ‘stato percepito’ è il prototipo dell’altro oggetto mentale fonda-mentale, costituito dalle conoscenze, cioè percezioni, credenze, opinioni, previsioni, le quali fungono da filtro attraverso cui passano gli stimoli provenienti dall’esterno, quello che chiamiamo ‘realtà’.
Qual è l’esito del confronto? «L’azione del sistema, basata su tale stato percepito, tende ad adeguare il mondo allo stato regolatore» (ibidem).
Gärdenfors (1978), Harman (1986) e altri ricercatori hanno postulato la presenza nel sistema cognitivo di una ‘resistenza’ a modificare le proprie credenze, e di un principio economico di ‘cambiamento minimo’ nel caso in cui il cambiamento sia necessario. Questi elementi sembrano rafforzare l’ipotesi che esista un metascopo, il cui obiettivo sia il mantenimento delle proprie credenze, a tutela della stabilità e coerenza del sistema complessivo. La frustrazione di una o più unità del sistema, di una o più credenze, comporta una forma di disagio cognitivo che è stato etichettato come ‘disagio epistemico’. Numerosi esempi di questo disagio sono stati registrati nel corso della storia dell’umanità come conseguenza di eventi straordinari: la scoperta che la terra non è piatta, che il mondo non è stabile, conoscibile, prevedibile, ecc. In sintesi, lo studio della coscienza e i dati relativi al funzionamento della mente evidenziano la modernità del pensiero di G. A. Kelly: «secondo la scienza cognitiva…la consapevolezza di qualcosa viene costruita, non è un dato di fatto» (Bara, 1999, p. 93). La posizione cognitivista viene chiarita nell’introduzione al Manuale di Psico-terapia Cognitiva (Bara, 1996): «Percorre il volume uno spirito pienamente cogniti-vista, che finalmente non paga più debiti al comportamentismo – e alla psicoanalisi – ma tranquillamente cerca di filtrare quanto hanno generato. Ciò significa affran-carsi da pratiche sempre più stancamente legate ai sintomi, per imboccare la strada della comprensione di emozioni e stati mentali, e della relazione che tutto lega…una posizione radicalmente innovativa… costruttivista ed evolutiva» (Bara, 1996, p. 15). Bara fa inoltre riferimento alla funzione autopoietica presente in «qualunque entità – biologica, mentale e relazionale” (ibidem), e aggiunge che “il sistema uomo aggiusta se stesso sulla base sia delle esperienze vissute, sia della riflessione sulle esperienze stesse» (ibidem).
Per quanto riguarda le emozioni, l’atteggiamento dei cognitivisti è cambiato nel tempo (Chiari e Nuzzo, 1985, 1987, 1988). Dapprima del tutto ignorate, esse ven-gono attualmente considerate parte del processo conoscitivo: «una parte centrale e relativamente più stabile, che si manifesta come sensazione nell’imminenza di un riordinamento profondo dell’esperienza personale» (Chiari e Nuzzo, 1996, p. 38). Questa posizione richiama le ipotesi di Kelly sulle dimensioni emotive, sulla loro in-sorgenza in prossimità di ristrutturazioni del sé e del ruolo nucleare, e sulla profonda risonanza prodotta nella struttura nucleare dalle minacce al mantenimento della coerenza del sé.
Le emozioni vengono descritte come «un complesso stato soggettivo» costituito «dall’integrazione di componenti somatiche e mentali, cognitive e motivazionali» (Miceli e Castelfranchi, 2002, p. 96). L’emozione è il prodotto di una «struttura inte-grata di credenze e scopi, legata alla sua natura funzionale, determinante per la sua natura intensionale e per la sua categorizzazione, ed esplicativa della sua attuazione e motivazione» (ibidem). Le emozioni sono definite ‘intensionali’, cioè vertono su qualcosa, hanno un oggetto, un destinatario. I loro costituenti sono le credenze e gli scopi. In particolare, le credenze possono svolgere tre ruoli in relazione alle emozioni (Miceli e Castelfranchi, 2002). Un primo gruppo comprende le credenze di attivazione: le emozioni sono attivate da rappresentazioni endogene, per esempio immagini, proposizioni, valutazioni positive o negative; ci sono poi credenze di attribuzione causale, mediante le quali l’agente cognitivo stabilisce un nesso tra l’arousal, o reazione somatica, e l’emozione; il terzo gruppo riguarda le credenze di categorizzazione, quelle cioè che portano il soggetto ad interpretare, riconoscere ed etichettare i propri stati d’animo come l’una o l’altra emozione, per esempio: “sono furioso con mio fratello”, “sono triste”, ecc.
Nell’ambito della resistenza al cambiamento, un esempio eclatante di conflittualità tra credenze ed emozioni è il paradosso nevrotico (Mancini e Gangemi, 2002). La psi-copatologia offre un’ampia casistica di resistenze al cambiamento che appaiono chia-ramente paradossali (Eysenck, 1979; Liotti e Guidano, 1984; Seligman, 1988). I risul-tati delle ricerche sui disturbi di personalità svolte da vari autori (Gardner, Mancini e Semerari, 1988; Guidano, 1987, 1991; Pretzer e Beck, 1996; Reda, 1986; Semerari, 1999, 2000) evidenziano casi in cui il paziente stesso riconosce l’opportunità e la possibilità del cambiamento, tuttavia non lo realizza, e costruisce attorno al proprio atteggiamento patologico un percorso esistenziale di frustrazione e sofferenza. In un’altra ricerca (Trope e Liberman, 1993), sono state studiate le modalità mediante le quali il ragionatore pragmatico controlla la validità delle proprie ipotesi. I ricercatori hanno evidenziato i processi cognitivi che si attivano necessariamente per decidere se e come perseguire i propri obiettivi, partendo dall’articolazione di due fasi princi-pali: generazione e controllo. Tuttavia, nella vita di ogni giorno assistiamo alla messa in atto di atteggiamenti e comportamenti paradossali ed è evidente che non tutti sono patologici: basti pensare a chi fuma sapendo che il fumo nuoce alla salute, o a chi affronta costi e rinunce per conformarsi ai dettami di credenze superstiziose, pur sapendo che tali credenze non hanno fondamento. Nei casi patologici, gli effetti di comportamenti e atteggiamenti paradossali diventano più pervasivi e nocivi e il cambiamento, che sembrerebbe a portata di mano, non viene realizzato, nonostante gli alti costi in termini di sofferenza personale.
Alcuni autori sono convinti che la patologia sia «un processo attivamente costruito dal soggetto, piuttosto che l’estrinsecazione di una struttura fissa… gli atteggia-menti paradossali si spiegano ricorrendo a scopi e credenze» (Mancini e Gangemi, 2002, p. 203). Come sintetizzano Pretzer e Beck (1996, pag. 56): «Gli schemi indivi-duali alterano la percezione degli eventi in modo che le esperienze in contraddizione con le convinzioni del paziente vengono fraintese, trascurate o ridimensionate, men-tre nello stesso tempo la sua interpretazione degli eventi e il suo comportamento interpersonale si traducono in esperienze che sembrano confermare i suoi schemi disfunzionali». Le informazioni vengono così interpretate «in modo da favorire la creazione di una coesione interna piuttosto che la veridicità esterna» (Panzarella, Alloy et al, 1999).
Una spiegazione analoga era stata fornita dai costruttivisti (Kelly, 1955; Bannister e Fransella, 1971; Villegas, 1992; Winter, 1990,1992) e dai cognitivisti post-razio-nalisti (Guidano, 1987, 1991; Reda, 1986): la coerenza interna è il corrispondente concetto/costrutto stabile e continuativo di identità personale e senso di sé. I dati mettono in luce come lo stato emotivo possa influenzare l’apprendimento, la selezio-ne delle informazioni e dei ricordi (Semerari, 1999).
TCC: l’uomo è un ‘animale epistemologico’. E i costrutti?
Nelle note introduttive al suo lavoro La Complessità del Sé, pubblicato in Italia nel 1988, V.F. Guidano, uno dei fondatori della Società Italiana di Terapia Cognitiva e Comportamentale, traccia una sintesi dei risultati degli studi e delle ricerche svi-luppate fino a quell’anno. Superata la metafora computazionale, i dati testimonia-vano «l’emergere di una concezione dei sistemi viventi basata su una metodologia d’indagine di tipo evoluzionistico, olistico e processualmente orientato» (Guidano, 1988, p. 19); in particolare, il sistema conoscitivo umano «dovrebbe essere inteso come una complessità organizzata autoreferenzialmente» (p. 19), con capacità di autorganizzazione (Atlan, 1981; Bocchi e Ceruti, 1985; Ceruti, 1986; Jantsch, 1980; Jantsch e Waddington, 1976; Lazlo, 1972, 1983; Nicolis e Prigogine, 1977; Varela, 1979; Weimer, 1982, 1983). Secondo questa prospettiva, la capacità di organizza-zione autoreferenziale costituisce un vincolo evolutivo di base che, nel corso delle fasi di sviluppo, «prende forma… attraverso la graduale ascesa verso i processi co-gnitivi superiori» (Guidano, 1988, p. 19), verso un pensiero epistemologico. L’Autore commenta: «L’immagine dell’essere umano che ne risulta non è quella di un ‘animale edonistico’ (il cui comportamento viene regolato…da un gioco di premi e punizio-ni) ma piuttosto quella di un ‘animale epistemologico’, la cui adeguatezza adattiva coincide con l’efficacia della sua comprensione di se stesso e della realtà» (ibidem). Se un sistema conoscitivo è un sistema autoreferenziale, di conseguenza i processi conoscitivi rivestono un ruolo di assoluta centralità «nella costruzione di quell’ordi-namento della realtà che comunemente denominiamo ‘esperienza personale» (Guida-no, 1988, p. 20). La realtà non arriva al soggetto come dato oggettivo, ma è costru-ita dal soggetto conoscente «in una serie di regolarità prevedibili» (ibidem) e quindi comprensibili. È il sistema conoscitivo che, «plasmando un suo ordine all’interno di un fluire di stimoli continuamente mutevole e imprevedibile, definisce contempo-raneamente la sua individualità e la sua identità» (ibidem). In questa prospettiva, l’adattamento non è più progressivo modellamento delle risposte del sistema alle pressioni dell’ambiente, ma «conservazione della propria coerenza interna a spese dell’ambiente» (p. 21). Se si amplia la riflessione in un’ottica sistemica compare il concetto di coerenza interna quale nucleo fondamentale dell’unità percettiva: «la differenza tra mente e computer è… netta: i sistemi organizzati autoreferenzial-mente, come l’essere umano, sono le unità della realtà… Le strutture di conoscenza corrispondono a schemi evolutivi per la raccolta e l’elaborazione delle informazioni» (p. 23). La conoscenza appare come un processo in continua evoluzione e «consiste … nella progressiva strutturazione di schemi rappresentativi del mondo» (p. 23). I costrutti e le credenze fanno parte di questi schemi rappresentativi del mondo. L’analisi di Guidano (1988) evidenzia l’andamento a spirale della conoscenza, che non procede in modo lineare verso una realtà certa, ultima e definitiva, piuttosto esprime una specifica relazione tra conoscente e conosciuto (Sameroff, 1982). Grazie alle relazioni fra le componenti del sistema conoscitivo, l’organismo vivente può raggiun-gere un equilibrio dinamico e prospettarsi una crescita dialettica, conseguenza della capacità del sistema di «trasformare in ordine autoreferenziale l’aleatorietà delle perturbazioni provenienti ora dall’ambiente ora dalle oscillazioni interne» (Guidano, 1988, p. 27). Il sistema si evolve «verso livelli di maggiore complessità e ordine interno, attraverso l’assimilazione delle sue stesse incongruità e contraddizioni» (ibi-dem, p. 28), uno sviluppo di natura intrinsecamente dialettica.
Verso il cambiamento
L’esperienza è il banco di prova, il test di verifica e di validazione sul campo del sistema dei costrutti personali attivati.Secondo gli Autori cognitivo-costruttivisti, come abbiamo visto, il sistema dei co-strutti e delle credenze costituisce il filtro cognitivo ed emotivo attraverso il quale il soggetto umano percepisce la realtà esterna, contaminando la ‘realtà’, che assume sostanzialmente i contorni di una costruzione individuale, personalizzata e vincolan-te, che regola il comportamento e che può indurre specifici stati mentali ed emotivi quali, per esempio, il senso di impotenza, la delusione, l’ansia, la depressione, svol-gendo un ruolo attivo anche in ambito interpersonale.Come si può promuovere il cambiamento entrando in relazione con il sistema di rife-rimento individuale dell’Altro, portatore di una struttura/visione più o meno aperta agli stimoli esterni, più o meno limitata alle sole istanze interne? Qual è il grado di flessibilità, quanti sono i ‘gradi di libertà’ concessi al soggetto che chiede aiuto al terapeuta? Come concretizzare la possibilità di cambiamento in presenza di costrutti e/o credenze disfunzionali, causa di disagio psichico e di comportamenti inefficaci, inadeguati allo scopo essenziale del benessere psicofisico personale? Rogers (1951) sottolinea la necessità della presenza nella relazione terapeutica di alcune caratteristiche imprescindibili quali: una modalità empatica nell’incontro Io-Tu, accettazione positiva incondizionata, fiducia nelle capacità del cliente e nella sua tendenza attualizzante, congruenza fra reazioni organismiche e concetto di sé/senso di coerenza del sé. Ritroviamo gli stessi concetti negli scritti dei cognitivisti-costruttivisti (Guidano e Liotti, 1983) i quali enfatizzano le interazioni significative per lo sviluppo del con-cetto di sé, convergenza di pattern viscerali, pattern senso-motori, stati emotivi, rappresentazioni e immagini, frammenti di memoria episodica. Si assiste quindi ad una graduale ricomposizione della visione dell’essere umano, non più limitata alle sole funzioni ed attività mentali.L’approccio rogersiano e quello cognitivo-costruttivista non sono però sovrapponibi-li: il concetto rogersiano di ‘consapevolezza’ dei propri vissuti organismici trova solo parziale corrispondenza nel significato che allo stesso termine danno i cognitivisti, i quali lo collocano tra «i processi con i quali un sistema costruisce una rappresen-tazione di sé atta ad incrementare la sua efficacia adattiva» (Guidano, 1996, p. 48). La ‘consapevolezza’ di Rogers ha a che fare con la sensazione organismica originaria, assunta al ruolo di conoscenza, bypassando la percezione così come è intesa dai co-struttivisti, cioè come riconoscimento dello stimolo attraverso il filtro di un sistema di costrutti. La consapevolezza di cui parla Rogers ha origine nella «parte viscera-le fondamentale costituita da bisogni, sensazioni ed emozioni» (Nocito e Pascale, 2014) e non solo collega la parte viscerale e le sue sensazioni al sistema conoscitivo, ma anche assegna all’esperienza organismica la priorità del sentire, la base su cui si formeranno le concettualizzazioni e la presenza. L’aspetto fenomenologico dell’espe-rienza è dunque regolativo, influenza la formazione dei costrutti, amplia il concetto di sé, è l’aspetto distintivo qualificante dell’approccio centrato sulla Persona. Lo strumento più efficace nella psicoterapia è la relazione e molte ricerche lo hanno dimostrato (Strupp, 1995; Suh, O’Malley e Strupp, 1986; Suh, O’Malley et al.,1989). Altri studi (Antonovsky, 1987; Frankl, 1972) ripropongono una riflessione sul Co-strutto del Sense of Coherence, e ne definiscono le dimensioni: cognitiva (capacità di prevedere e spiegare gli eventi), di fiducia nelle proprie risorse, cioè del proprio potere personale sugli eventi, e motivazionale, dimensioni comuni a quella che Ro-gers definisce ‘tendenza attualizzante’. Negli ultimi decenni è maturato un interesse e si sono sviluppate iniziative mirate alla promozione della salute (Carta di Ottawa, 1986). Si è affermata una visione positiva della natura umana e la ricerca è stata indirizzata allo studio dei fattori di resilienza, termine che sottintende la capacità dell’essere umano di riorganizzare positivamente la propria vita nonostante le criticità (Cyrulnik e Malaguti, 2005, p. 7). La resilienza è appunto la prova che «l’essere umano non è semplicemente un oggetto aperto ad influenze deterministiche, ma un soggetto in continuo divenire che determina ciò che egli è» (Bottari e Lazzari, 2014, p. 33; Fizzotti, 1974), cioè capace di libertà.
La riflessione scientifica e culturale in corso nella società contemporanea include la totalità dell’esperienza soggettiva (Zucconi e Howell, 2003) e va oltre l’applicazione dei parametri della prospettiva bio-psico-sociale; richiama infatti quella dimensione di ricerca di senso che accompagna l’individuo nel corso della propria vita, che fu in-trodotta negli anni ’60 nella filosofia e fenomenologia esistenzialista con il costrutto di ‘significato esistenziale’: «coscienza sicura di un andare, di un compito della pro-pria esistenza personale, la ricerca e il raggiungimento di mete meritevoli di essere perseguite e come senso permanente di compimento» (Reker e Wong, 1988, p. 21). Frankl la definì ‘volontà di significato’ (1972), concetto presente nella definizione del Sense of Coherence di Antonovsky (1987), che assegna alla motivazione un ruolo centrale, cioè quello di indicare il senso del proprio andare. La modernità e la capacità di visione delle intuizioni di Carl Rogers e di Kelly sono state accolte dai diversi mondi, sociale, culturale e scientifico contemporanei e rece-pite nell’ultima revisione del Codice deontologico degli Psicologi (1998). Un ultimo interrogativo riguarda il processo terapeutico, il passaggio dal disagio psichico a un grado maggiore di benessere e libertà. La psicologia umanistica realizza il cambiamento in termini di ristrutturazione cogni-tiva ed emotiva: la terapia dei costrutti si accompagna ad una profonda accettazione di sé che permette al cliente di conquistare consapevolezza dei propri vissuti. Le emozioni guidano l’individuo verso la dimensione della propria motivazione centrale e del senso della vita e grazie all’intervento del terapeuta si possono affacciare ele-menti nuovi, nuovi punti di vista, aperture… Il ruolo essenziale della relazione Io-Tu pone al terapeuta il problema della propria congruenza e capacità empatica, di come coniugare i concetti di ‘vissuto organi-smico’, congruenza, concetto del sé e coerenza del sé nell’ambito del setting tera-peutico. In che cosa consiste la sua congruenza? È l’aderenza al proprio sistema di costrutti, alla propria forma di adattamento psicologico? L’empatia è, in parte, proie-zione? Quanto incide la resistenza del cliente sul senso di concetto del sé e coerenza del sé del terapeuta? Con quali effetti sul processo terapeutico? Queste ed altre domande che il terapeuta si pone avranno una risposta soggettiva e individuale, che, per essere autentica, richiederà un processo continuo di autocono-scenza e autovalutazione, di apertura e comprensione.
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