La valutazione degli esiti della psicoterapia in un centro di salute mentale
Gianuario Buono, Sara De Laurentis
Introduzione
Mantenere viva la psicoterapia all’interno di un servizio pubblico nel panorama attuale della Sanità pubblica italiana, appare una sfida alquanto ardua e non solo per motivi tecnico-scientifici collegabili alla specificità del setting istituzionale (Buono, Maradei & Perrone 2012), ma soprattutto per la progressiva “mutazione” che i servizi di salute mentale vanno subendo negli ultimi decenni. La scarsità delle risorse umane ha prodotto un progressivo appiattimento della psichiatria sulle dinamiche delle emergenze/urgenze, finendo con il ridimensionare il ricorso agli interventi di presa in carico più complessi ai quali, indubbiamente, appartiene la psicoterapia.
Lo studio che qui presentiamo si collega all’esigenza di consentire alla psicoterapia di sopravvivere in un Centro di Salute Mentale, rispondendo, nonostante la progressiva riduzione del personale, alla esponenziale crescita di richieste di interventi psicoterapeutici nella popolazione. Il Centro di Salute Mentale della ASL ROMA 6 di Pomezia ha un bacino di utenza di oltre 100.000 abitanti, e può contare su un numero limitato di psicologi con il risultato di rendere molto difficile la realizzazione di un piano di offerta di psicoterapia agli utenti che, nella maggior parte dei casi, non hanno sufficienti risorse economiche per rivolgersi al privato.
Il progetto è stato reso possibile grazie alla collaborazione degli specializzandi delle scuole di Specializzazione in Psicoterapia convenzionate con la ASL ROMA 6, che hanno applicato il modello di psicoterapia breve elaborato dal CSM sotto la supervisione tecnica dei docenti della loro scuola e sotto la supervisione del tutor del CSM per quanto riguardava gli aspetti legati al modello e alle caratteristiche specifiche del setting istituzionale.
I pazienti da includere nel progetto sono stati pazienti in carico al CSM, in lista di attesa per un intervento di psicoterapia con diagnosi di “nevrosi” (si veda figura 1) ossia pazienti con disturbi psicopatologici afferenti al gruppo dei disturbi d’ansia e delle depressioni (non maggiori) escludendo i pazienti psicotici, bipolari e con disturbi di personalità gravi.
Figura 1
La ricerca in psicoterapia
Il termine psicoterapia non è univoco, infatti include diversi modi di intendere l’intervento, tutti però riconducibili ad uno schema generale di contratto tra un utente e un professionista della salute mentale che lavorano insieme allo scopo di migliorare il benessere psicologico dell’utente attraverso le tecniche che lo specialista decide di applicare.
La ricerca in psicoterapia vanta ormai più di mezzo secolo di storia e ha prodotto con i suoi risultati un fenomeno di fecondazione reciproca tra i diversi modelli teorici così che oggi esistono minori divergenze tra i diversi approcci riguardo le spiegazioni psicopatologiche, le ipotesi di cambiamento terapeutico e sui fattori che ne sono responsabili.
Come scrive Dazzi (2006) tre sono le domande che servono a limitare l’ambito concettuale della ricerca in psicoterapia:
La psicoterapia funziona? Permette di ottenere cambiamenti? Quali? Esistono dati in grado di dimostrarlo? La sua efficacia è migliore rispetto a quella di altri metodi, eventualmente concorrenti, nella cura dei disturbi psicologici?
Quale approccio funziona meglio? Ci sono terapie migliori di altre? Quali raggiungono i risultati migliori?
Cosa succede in psicoterapia? Se avvengono dei cambiamenti, che cosa si modifica nel paziente? Cosa fanno paziente e terapeuta per raggiungere un cambiamento?
Queste domande permettono di suddividere la ricerca in psicoterapia in due filoni, storici, che si integrano reciprocamente: studi sugli esiti e studi sul processo.
Un altro modo di concettualizzare la ricerca in psicoterapia prevede la distinzione tra ricerca su fattori specifici (specifici di un approccio) e su fattori aspecifici (trasversali a tutti gli approcci, ad es., l’alleanza terapeutica).
La ricerca sugli esiti o outcome è di fondamentale importanza in psicoterapia perché consente di fornire prestazioni sempre più idonee alle richieste di cura concetto riassumibile con la formula inglese di Roth e Fonagy (1996) What Works for Whom? La ricerca sugli esiti, infatti, si concentra sulla valutazione dell’efficacia della psicoterapia mirando quindi a definire i cambiamenti ottenuti attraverso la psicoterapia, e confrontando ciò che accade al termine del trattamento rispetto al punto di partenza.
Esistono due diversi modi di intendere l’outcome. C’è chi lo considera in termini di cambiamento del sintomo (terapie cognitive, comportamentali) e chi lo intende in termini di cambiamento della personalità che sostiene il sintomo (terapie psicoanalitiche, esperienziali, etc.).
Gli strumenti di valutazione degli esiti possono essere suddivisi, grossolanamente, in base al fatto che valutino un singolo tratto del funzionamento del paziente (BDI, Beck Depression Inventory), che valutino contemporaneamente più aspetti (MMPI-2, Minnesota Multiphasic Personality Inventory) o che valutino globalmente il cambiamento (GAF, Global Asssessment Functioning). Qualsiasi sia il loro ambito di indagine, questi strumenti possiedono sia un’utilità individuale, in quanto valutano i cambiamenti del paziente nel corso del trattamento, sia un’utilità nell’ambito dei Servizi Pubblici, in quanto consentono di delinearne il profilo, definire il tipo di utenza e monitorarne la qualità operativa.
La valutazione del ruolo delle psicoterapie nei Servizi Pubblici di Salute Mentale è un argomento complesso. In questi servizi, infatti, gli esiti sono il possibile prodotto di un insieme di interventi più o meno integrati tra loro e di diverso genere, e non il prodotto di un singolo tipo di trattamento.
Scopo di questo articolo è quello di presentare un’esperienza effettuata presso il Centro di Salute Mentale di Pomezia sotto un’ottica naturalistica in quanto lo scopo generale dello studio è stato quello di scattare una fotografia del Servizio in linea anche con l’esigenza, attuale, di razionalizzare l’erogazione di prestazioni terapeutiche.
La ricerca infatti è inquadrabile nell’ambito degli studi sulla effectiveness cioè sull’efficienza, in quanto ha cercato di misurare il risultato della terapia nella pratica clinica quotidiana e non in laboratorio o privilegiando una particolare tecnica psicoterapeutica. Una terapia che risulta efficace solo in un contesto controllato, con gruppi di controllo, distribuzione randomizzata dei soggetti, ecc., e non nella pratica clinica reale è inutile, dato che lo scopo alto della ricerca empirica in psicoterapia dovrebbe essere quello di contribuire alla disseminazione di tecniche efficaci nella pratica clinica quotidiana, con beneficio di tutti i potenziali pazienti e non solo di quelli inclusi negli studi sperimentali.
Costituzione del campione
I pazienti che sono stati inclusi nel progetto di ricerca presentavano disturbi “nevrotici” escludendo il gruppo delle psicosi dello spettro schizofrenico e i gravi disturbi dell’umore (bipolari e depressioni maggiori). Sono stati esclusi, anche, i pazienti con diagnosi principale di disturbo di personalità avviati a percorsi psicoterapeutici prolungati e generalmente con un approccio di tipo psicodinamico. Come si può osservare (Tabella e Grafico 1) i pazienti del Centro di Salute Mentale afferenti al gruppo delle diagnosi storicamente denominate nevrotiche, ossia con disturbi d’ansia e disturbi depressivi, rappresentano, con circa il 42%, la fetta più numerosa dell’intera utenza del Centro (Dati 2019 del Dipartimento di Salute Mentale e delle Dipendenze Patologiche ASL ROMA 6).
Dati 2019 CSM ASL ROMA 6 Pomezia
Diagnosi
Disturbi psicotici 13,19
Disturbi dell’umore 18,43
Disturbi di personalità 7,59
Disturbi nevrotici (disturbi d’ansia e disturbi depressivi) 41,00
Disturbi organici 4,73
Altre diagnosi 15,06
Tabella 1
Grafico 1
Metodo
La specificità del progetto di ricerca risiedeva nella costruzione di un modello di psicoterapia che si caratterizzava sugli aspetti “formali” della psicoterapia e non su quelli più specificatamente “tecnici o contenutistici”. L’idea era che una psicoterapia fatta secondo criteri precisi con terapeuti supervisionati, è efficace a prescindere dell’approccio utilizzato.
Il modello, rappresentato in figura 2, prevedeva la selezione casuale dei pazienti (fatti salvi i criteri di inclusione sopra descritti) che erano già stati accolti e valutati idonei per la psicoterapia dallo psicologo e/o dallo psichiatra di riferimento, ed inseriti nella lista di attesa del servizio. Il modello di psicoterapia prevedeva 20 sedute da effettuarsi settimanalmente in un periodo di 6/8 mesi. La prima fase di valutazione prevedeva un ciclo di 4 sedute, durante le quali il paziente e il terapeuta lavoravano sulle regole del loro rapporto e soprattutto sugli obiettivi del trattamento psicoterapeutico che dovevano essere congrui con un modello di psicoterapia a 20 sedute. Il paziente veniva altresì informato del modello e invitato alla compilazione del CORE-OM. La seconda fase, di intervento, prevedeva un ciclo di 8 sedute con una valutazione alla dodicesima seduta del trattamento e il coinvolgimento del paziente nella decisione di proseguire o meno (ciò anche servendosi della seconda somministrazione del CORE-OM). La terza fase, di consolidamento, di ulteriori 8 sedute si focalizzava, soprattutto nelle ultime, sulla chiusura, con una attenta valutazione dei miglioramenti e cambiamenti ottenuti dal paziente. Nell’ultima seduta veniva somministrato per la terza volta il CORE-OM.
Figura 2
I terapeuti erano specializzandi provenienti da scuole di psicoterapia dell’area romana, di diversi approcci che rientravano nelle seguenti categorie: TCC (terapia cognitivo-comportamentale), TPD (terapia psicodinamica), TSR (terapia sistemico-relazionale) e TUE (terapia umanistico-esperenziale).
I terapeuti specializzandi venivano addestrati sull’uso del CORE-OM e sul modello formale entro cui implementare la loro tecnica specifica di psicoterapia. L’aspetto ritenuto fondamentale era che, a prescindere dall’approccio tecnico, i terapeuti fossero supervisionati e opportunamente formati sulle basi della psicologia clinica. La supervisione era duplice: una era più tecnica, effettuata dalla scuola di specializzazione, e l’altra, effettuata dal tutor istituzionale del DSM, era maggiormente legata alla specificità del contesto istituzionale in cui la psicoterapia era realizzata.
Strumento
Il CORE system è stato concepito con l’ambizioso obiettivo di fungere da ponte tra ricerca e pratica clinica, tra Università e Servizi, presso il Psychological Therapies Research Centre (PTRC) di Leeds, centro che si occupa dello sviluppo di trattamenti evidence based cioè basati sull’evidenza. Il termine CORE vuole dare risalto alla volontà degli autori di valutare il così detto nucleo centrale, il cuore dei problemi del paziente.
Il CORE-OM, Clinical Outocome in Routine Evaluation-Outcome Measure (Evans et al., 2000) è un questionario self report che somministrato all’inizio e alla fine del trattamento permette di ricavare una valutazione dell’esito. È composto da 34 items che indagano quattro dimensioni: benessere soggettivo, problemi e sintomi, funzionamento di vita e rischio. La psicoterapia, a prescindere dall’orientamento, dovrebbe avere un impatto iniziale sulla prima scala, successivamente dovrebbe alleviare i problemi e sintomi e infine influenzare il funzionamento di vita. La scala del rischio è stata aggiunta per individuare i soggetti a rischio di comportamenti auto ed etero- lesivi (ideazione suicidaria, pericolosità sociale). Al soggetto è richiesto di rispondere ad ogni item con una scala a 5 punti da 0 (per niente) a 4 (moltissimo).
Il punteggio finale si ottiene sommando i punteggi dei singoli items diviso per il numero di risposte moltiplicando il risultato per 10 in modo da ottenere una scala a 40 punti. Il test risulta non valido se il soggetto omette più di tre items. Punteggi maggiori corrispondono a problemi maggiori. Il confronto tra i punteggi della prima somministrazione e i punteggi della fine del trattamento dovrebbe indicare se il livello di disagio presentato dal paziente è diminuito e in che misura. Nella valutazione degli esiti sono utilizzati due indici:
il Miglioramento clinico con riduzione superiore a 5 punti (>5) denominato RCC Reliable Clinical Change (cambiamento affidabile della condizione clinica);
la Riduzione del punteggio da sopra il cut-off a sotto (da >10 a <10) CSC Clinical Significant Change (cambiamento clinicamente significativo).
La scelta del Core OM è stata effettuata sulla base della letteratura scientifica in ambito di valutazione dell’esito della psicoterapia sia per l’accuratezza dello strumento, sia per la sua praticità e semplicità (Palmieri & Reitano 2014, Backham et alii 2005).
Descrizione del campione
I pazienti inseriti nel progetto di ricerca sono stati 51 nell’arco di circa due anni e mezzo. I pazienti sono stati inseriti sulla base della loro richiesta di un intervento psicoterapeutico concordata con lo psichiatra di riferimento, ove presente, o con lo psicologo in sede di colloquio di valutazione iniziale. Dei 51 pazienti, 44 hanno concluso in modo concordato la psicoterapia e 7 hanno interrotto il trattamento dopo alcune sedute (drop out).
Sono stati inclusi pazienti con diagnosi di disturbi d’ansia (18), disturbi depressivi (18) e altri disturbi più gravi che presentavano al momento dell’inserimento nel progetto un disturbo d’ansia o depressivo prevalente rispetto alla diagnosi principale di disturbo depressivo maggiore (6) e di disturbo di personalità (2). La scelta di pazienti con queste diagnosi è stata motivata dal fatto che l’intervento proposto era di psicoterapia breve e quindi, come indicato dalla letteratura internazionale, idoneo a tali diagnosi. Il gruppo dei pazienti nevrotici (disturbi d’ansia e depressivi) rappresenta il più ampio gruppo di utenti del Centro di Salute Mentale.
Grafico 2
La durata media del trattamento è stata di circa 8 mesi con una oscillazione tra i 4 e i 16 mesi. Il numero di sedute, svolte per lo più a cadenza settimanale, è stato mediamente di 21,5 e ha oscillato dalle 12 alle 26.
Gli psicoterapeuti che hanno collaborato al progetto provenivano prevalentemente da Scuole di Specializzazione in Psicoterapia ad orientamento psicodinamico per cui il 63,64% dei trattamenti è stato effettuato secondo questo indirizzo. Il resto dei trattamenti è stato effettuato da psicoterapeuti provenienti da Scuole di Specializzazione ad orientamento Sistemico-Relazionale, Cognitivo-Comportamentale e Umanistico-Esistenziale.
Grafico 3
Il campione che ne è risultato è stato composto prevalentemente da donne (70,45%) e con una età media di 44 anni. Come si evince dal Grafico 5, la fascia di età maggiormente rappresentata è stata quella tra i 40 e i 49 anni.
Grafico 4
Grafico 5
La ricerca ha permesso di fotografare anche il rapporto tra psicoterapia e trattamento psicofarmacologico, tipico di un Centro di Salute Mentale in cui operano in équipe psichiatri e psicologi. È emerso che 35 pazienti dei 44 inseriti nel progetto stavano assumendo una terapia psicofarmacologica all’inizio della psicoterapia. Si è verificato alla conclusione della stessa l’andamento di tale intervento farmacologico integrato. Come si rileva dal grafico 6 l’effetto della psicoterapia appare positivo con un 42,86% di pazienti che l’hanno ridotta ed un 11,43% che l’ha conclusa. Solo il 14,29% l’ha aumentata durante il trattamento psicoterapeutico.
Grafico 6
Risultati
L’uso del Core Om, descritto in precedenza, somministrato al paziente alla prima e all’ultima seduta ha permesso di fotografare la percezione del paziente del suo stato patologico e di verificare i miglioramenti ottenuti nell’arco del tempo in cui si è sottoposto a psicoterapia.
Abbiamo considerato i seguenti risultati:
Risultati medi del campione complessivo per area del Core OM;
Risultati medi del campione suddiviso per tipo di diagnosi;
Esito clinico misurato secondo gli indicatori RCC e CSC.
Risultati per area
I risultati medi del campione complessivo mostrano un miglioramento complessivo in tutte le aree indagate dal Core OM, con una significatività maggiore nelle sottoscale B (misura il vissuto di benessere/malessere del paziente) e P (misura l’intensità e la quantità dei problemi e dei sintomi presentati dal paziente). Meno significativo è stato il miglioramento registrato nella sottoscala F (misura il funzionamento del paziente nella sua vita lavorativa e relazionale). La sottoscala R (misura il rischio di gesti auto ed etero lesivi) è parsa poco significativa ed è stata utilizzata più come controllo relativo all’idoneità dell’inserimento del paziente in una psicoterapia breve, che come area da valutare.
Tali risultati sono in linea con le aspettative relative ad un intervento di psicoterapia breve che risulta di prima linea ed efficace per ottenere il miglioramento del vissuto del paziente e una migliore capacità di gestione dei sintomi. Come facilmente intuibile, l’obiettivo di migliorare il funzionamento richiede interventi psicoterapeutici maggiormente prolungati per evidenziare risultati positivi.
Grafico 7
Grafico 8
Risultati per diagnosi
I risultati medi ottenuti dal campione suddiviso per diagnosi, mostrano delle differenze molto significative.
Nel sottogruppo dei pazienti depressi (18) il risultato più significativo è rappresentato dal benessere (B) che riporta una diminuzione del punteggio di oltre 9 punti, mentre è più contenuto il miglioramento relativo alla gestione dei sintomi (P), seppure superiore a 5 punti.
CORE OM inizio fine differenza
B Benessere 25,3 16,0 9,3
F Funzionamento 18,1 13,7 4,4
P Problemi 21,5 15,8 5,7
R Rischio 4,2 1,9 2,3
T Totale 17,6 12,6 5,0
Tabella 3
Grafico 9
Nel sottogruppo dei pazienti con disturbi d’ansia (18) si registrano risultati diversi, infatti, vediamo che i miglioramenti più significativi fatti registrare dal campione sono relativi alla gestione dei sintomi dove il punteggio della scala P si abbassa di oltre 8 punti. Meno significativa appare la differenza nel vissuto: infatti i punteggi della scala B si abbassano solo di circa 3 punti (Buono 2020).
CORE OM inizio fine differenza
B Benessere 21,5 18,4 3,1
F Funzionamento 17,0 14,0 3,0
P Problemi 21,7 13,6 8,1
R Rischio 1,4 1,3 0,1
T Totale 16,4 12,8 3,6
T-R Totale meno Rischio 19,6 15,1 4,5
Tabella 4
Grafico 10
Grafico 11
Risultati sull’esito clinico complessivo
I risultati sull’esito clinico complessivo sono stati valutati secondo il RCC (cambiamento affidabile della condizione clinica) e il CSC (cambiamento clinicamente significativo), ottenuto dalla differenza nel punteggio TOTALE – RISCHIO all’inizio e alla fine del trattamento.
I dati mostrano un miglioramento significativo (RCC) nel 50,00% dei soggetti che presentavano, all’inizio del trattamento, un punteggio superiore al cut off clinico (>10). Il 28,57% ha presentato un passaggio a punteggi inferiori (CSC). Come si può osservare se all’inizio del trattamento solo due soggetti presentavano punteggi inferiori al cut off clinico, al termine i soggetti erano 15. Il Grafico 14 mostra in modo evidente come i punteggi si siano modificati nel loro andamento in modo inverso grazie alla psicoterapia (Buono 2020).
Grafico 12
Grafico 13
Conclusioni
La ricerca nel suo complesso mostra come la razionalizzazione degli interventi di psicoterapia in un servizio pubblico, come un Centro di Salute Mentale, produce effetti positivi sull’utenza e consente di fornire un intervento di prima linea efficace ed efficiente ad una fetta notevole dell’utenza psichiatrica. Tale risultato ci pare in linea con la filosofia di intervento del progetto anglosassone IAPT (Improving Access to Psychological Therapies) che si è proposto di offrire ai pazienti un trattamento di prima linea – nel senso di raccomandato come “intervento di prima linea” basato su dati di evidenza scientifica dal National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) – per disturbi depressivi e dello spettro ansioso, in eventuale associazione con la terapia farmacologica se appropriata (Porcelli 2009).
I dati sull’andamento della terapia farmacologica, in rapporto alla psicoterapia, evidenziano come tale intervento, non rappresenti solo un “accessorio” della cura, ma ne è parte integrante favorendo l’evoluzione della terapia farmacologica e suggerendo come una prosecuzione della psicoterapia possa portare ad una diminuzione, se non ad un superamento, della terapia farmacologica. I dati mostrano come per il 20% dei pazienti la psicoterapia è l’unica cura in essere e come nel 55% dei casi la cura è ridotta o conclusa. Sarebbe interessante evidenziare come progetti di psicoterapia maggiormente prolungati possano incidere sull’andamento della psicofarmacologia anche in termini di costi per il SSN.
Rispetto alla durata della psicoterapia i dati raccolti confermerebbero come nelle prime 20/24 sedute gli effetti della psicoterapia siano già evidenti rispetto al vissuto di benessere e al contenimento della sintomatologia, in linea con la letteratura sull’argomento. Il problema che il nostro studio evidenzia è se ciò, che è indubbiamente un obiettivo prioritario della psicoterapia condotta in un contesto istituzionale, possa essere generalizzato a favore di una scelta per forme di psicoterapia breve piuttosto che prolungate. I dati sul funzionamento rilevati dal CORE-OM mostrerebbero come gli effetti su tale dimensione siano più limitati e suggerirebbero un prolungamento della psicoterapia oltre che per stabilizzare i risultati ottenuti sulla sintomatologia e sul vissuto di benessere, anche per incidere in modo più significativo sul funzionamento generale del paziente. Il presente studio mostrerebbe, altresì, come la scelta di una psicoterapia di maggiore durata potrebbe incidere in modo più significativo su un cambiamento più generale e stabile della condizione clinica. La domanda che sorge è se il prolungamento del trattamento possa innalzare ancor più la percentuale di CSC (28.57% del campione) ossia di un miglioramento al di sotto del cut off clinico. Il grafico 14 evidenzia, infatti, come la tendenza dei punteggi rilevati all’inizio e alla fine del trattamento è verso un miglioramento progressivo e significativo della condizione clinica. Resta aperto anche il tema relativo alla stabilità dei cambiamenti nel tempo che richiederebbe progetti di studio con follow up successivi negli anni dopo la chiusura del trattamento.
Nonostante il numero limitato di casi del campione, è possibile osservare all’interno dei dati complessivi per diagnosi, come la psicoterapia incida in modo diverso a seconda delle stesse. Il grafico 9 relativo ai disturbi depressivi evidenzia come i risultati più significativi ottenuti dalla psicoterapia siano soprattutto relativi all’area del benessere e quindi dei vissuti depressivi, mentre il grafico 10 relativo ai disturbi d’ansia evidenzia miglioramenti più significativi relativamente all’area P (problemi e sintomi).
In conclusione, lo studio evidenzia nel suo complesso come la contaminazione del lavoro psicoterapeutico nel servizio pubblico, con la ricerca può non solo migliorare la qualità dell’offerta di cura, ma incidere sull’efficacia della stessa.
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Buono G. (2020) Nuove sfide della psicoterapia nella società contemporanea: tra impegno sociale ed efficacia in “La psicoterapia sociale. Riflessioni ed esperienze di gruppo durante la pandemia” a cura di De Blasi V., Gentili P. & Musco A., ALPES 2020 (pp. 25-41).
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