Evidenza scientifica in deontologia
Catello Parmentola, Elena Leardini
1. Evidenza scientifica in deontologia?
Riferire l’evidenza scientifica alla deontologia appare di primo acchito piuttosto azzardato: un contributo con un mandato del genere sembrerebbe un esercizio senza rete e con un alto coefficiente di difficoltà.
Non c’è alcuna bibliografia specifica a riguardo o, almeno, nulla che metta in parallelo l’una e l’altra non tanto accanto, quanto piuttosto intersecanti; si è abituati, infatti e per molti versi correttamente, a considerare l’evidenza scientifica come correlata ad altri e molto diversi campi di applicazione pratica; essa inoltre evoca sempre conclusioni sperimentali o casistiche sicure e non equivocabili.
La deontologia, invece, viene sovente vista come un insieme generale ed astratto di principi, regole e consuetudini che ogni gruppo professionale si dà e che si ritiene debbano essere osservate, più che nell’esercizio della professione, nella sua ideazione. Nelle sue quote etiche passive, è – in effetti e prima di tutto – dovere, declinato in termini giuridici per consentire l’applicazione di un’espressa sanzione in caso di sua violazione.
Tuttavia, la deontologia sovrappone nella sostanza tre dimensioni: l’Etica, la Scienza, la Società. Nella forma, si ispira al Diritto, adottandone principi e formule, così come generalità ed astrattezza. La sua dimensione etica è quella della soggettività, della filosofia dell’azione volontaria del soggetto. La dimensione della scienza è quella data dal vertice di osservazione specifico di una disciplina definita su basi scientifiche. La dimensione sociale è quella del sistema di valori e di regole che strutturano la convivenza di una collettività.
La deontologia è, quindi, una dimensione non solo giuridica, fortemente evolutiva, storicamente determinata e con un livello di complessità elevato.
Ciò comporta il necessario ricorso a convenzioni che fissino il senso del comune sentire riguardo a quale sia la buona (migliore) regola metodologica in quel determinato periodo storico, nonché a formule generali e astratte che consentano la comprensione e l’applicazione più estese possibile di tale regola.
Così ragionando, si delinea ciò che qui si vuole affermare: la deontologia non è evidenza scientifica, o meglio, la deontologia non può essere considerata tout court evidenza scientifica perché la deontologia parla dell’evidenza scientifica pur senza esserlo.
L’approccio scientifico evidence based può essere ritenuto un approccio deontologico nella misura in cui la comunità scientifica lo ritiene una corretta regola metodologica. Se, poniamo per assurdo, il procedere per evidenza scientifica perdesse, per motivi oggettivi, la propria affidabilità e, quindi, quella stessa comunità scientifica dovesse ritenerlo superato e metodologicamente scorretto, esso diventerebbe non deontologico.
2. Le misure scientifiche della deontologia
È stato sopra detto che la deontologia sovrappone nella sostanza tre dimensioni: l’Etica, la Scienza, la Società, e, quanto alla forma, si ispira al Diritto, adottandone principi e formule. È stato detto che soltanto la seconda dimensione (la Scienza) parrebbe evocare la misura scientifica dell’evidenza, ciò però non significa che non ci siano tante misure scientifiche anche nell’Etica, con riferimento alla scienza filosofica che la indaga, o nella Società, con riferimento alla scienza sociologica che la indaga, per non parlare della scienza del Diritto che indica principi e formule alla (della) Forma deontologica.
Quindi, non è la scienza che manca alla deontologia, ce n’è fin troppa, e neanche la sua evidenza: è tutto assolutamente riscontrabile e dimostrabile.
Semplicemente, per le intrinseche caratteristiche della materia, la deontologia si ritrova ad utilizzare altre Scienze (filosofica, sociologica e, soprattutto, del Diritto) rispetto alla Clinica.
È anche vero che l’evidenza scientifica nasce in Medicina, ad essa soprattutto si applica nelle sue codificazioni riconosciute, per estensione, ad altre dimensioni cliniche e sanitarie.
È, quindi, a ‘questa’ evidenza scientifica riconosciuta e propriamente detta che faceva riferimento anche il mandato di questo contributo: ‘evidenza scientifica in deontologia’.
Speculativamente si proverà comunque a non sottrarsi alla sfida di tale mandato, ma non prima di avere rivendicato tutte le altre scienze e tutte le altre evidenze scientifiche di cui ‘è fatta’ la deontologia.
Alla base della deontologia c’è una ricerca molto scientifica nella individuazione e focalizzazione e ‘accertamento’ di tutti i paradigmi di riferimento, etici, culturali, sociali.
La misura deontologica deve calzare sartorialmente su quella data comunità professionale in atto, in quel momento, in quel contesto: quindi bisogna conoscere molto bene quel contesto, in premessa, dal punto di vista normativo, dal punto di vista dei suoi paradigmi professionali e scientifici, ecc. Ogni scienza convocata dalla deontologia potrebbe essere trattata per pagine e pagine, ma non si vuole eludere il mandato. Pensiamo qui solo a quanta scienza del Diritto è indispensabile all’estensione di un articolato giuridico-formale quale un Codice Deontologico. Bisogna “banalmente” conoscere le Leggi per un’applicazione coerente della Gerarchia delle Fonti di Diritto. Bisogna conoscere requisiti e connotazioni di un articolato giuridico formale. Bisogna saperlo strutturare in tutte le imprescindibili coerenze logiche interne, dai richiami tematici alle gradualità, dagli equilibri di fattispecie al linguaggio.
Ognuno di questi punti ha sottese codificazioni scientifiche, sacri testi di riferimento, procedure, strumenti ecc.: senza volere entrare nel merito dei contenuti, con riferimento a tutte le altre dimensioni sopra evocate, tra etica, società e Modelli scientifici, e –per ogni norma- l’evocazione speculativa di ogni fattispecie tecnico-professionale, per avere la sicurezza che, ad ogni fattispecie e sottordine, ogni norma possa essere poi utilmente applicata.
3. Appropriatezza deontologica e appropriatezza
tecnico-professionale in psicologia
Abbiamo sopra ritenuto che il mandato di questo contributo si riferisse all’evidenza scientifica per come viene solitamente evocata, nell’applicazione dei paradigmi sperimentali alla clinica, a partire dall’accertabilità, misurabilità, riproducibilità degli esiti.
E, proprio perché è alla Medicina e alla Clinica che viene chiesto di riferirsi ai criteri dell’evidenza scientifica, proprio dalla clinica, transitivamente, possiamo “assumere” una possibilità indiretta di “far rientrare” speculativamente l’evidenza clinica anche nella deontologia, per un motivo molto semplice: nell’esperienza di ogni psicologo è verificata una coincidenza statisticamente non equivocabile tra deroga deontologica ed errore clinico.
Possiamo addirittura affermare che ogni deroga deontologica è anche sempre una deroga tecnico-professionale ed ogni errore tecnico-professionale è contestualmente, sempre, anche una deroga deontologica. Si può arrivare ad istituire contesti ed esercizi tecnico-professionali corretti e funzionali semplicemente curando molto l’appropriatezza deontologica di ogni passaggio, e, soprattutto, possiamo stare certi che l’irreprensibilità tecnica contiene sempre anche una forma di rigore ‘deontologico’.
Ci sono disposizioni personologiche di rigore e di qualità che vanno ineludibilmente a dispiegarsi in ogni dimensione del fare: l’accuratezza e il rispetto delle regole e delle procedure sono sempre contestualmente un fatto tecnico e deontologico, deontologico e tecnico.
(Un po’ allo stesso modo per cui ci si rende sempre più conto che la semplice correzione di errori epistemologici già sostanzia un processo psicoterapeutico, già fa implicitamente molto di quello che ci si aspetta dall’applicazione di un Modello psicoterapeutico).
Posto come vero tutto quanto fin qui affermato, vien da sé che, nel valutare le condotte e gli esiti tecnico-professionali con i parametri e i criteri codificati dell’evidenza scientifica, ci si ritrova implicitamente a valutare allo stesso modo anche l’appropriatezza deontologica.
In linea teorica, condotte tecnico-professionali opache, equivocabili, senza misure sicure e riscontrabili, hanno un sotteso deontologico vago e approssimativo.
Dunque, passare attraverso la dimensione tecnico-professionale, potrebbe essere un buon modo per fare arrivare l’evidenza scientifica fino alla deontologia, tuttavia questa riflessione è solo speculativa, per non sottrarsi al mandato, per cimentarsi intellettualmente con l’argomento proposto, per il semplice motivo che l’evidenza scientifica, per come ce la rappresentiamo e intendiamo, non dovrebbe riguardare mai la psicologia e la psicoterapia poiché, pur con diverse epistemologie, psicologia e psicoterapia hanno entrambe misure scientifiche completamente diverse da quelle mediche, non riducibili a quel tipo di oggettivazione.
Ce lo dicono Karl T. Jaspers, Jerome S. Bruner, Ludwig J. J. Wittgenstein, Edmund G. A. Husserl, Immanuel Kant, Friedrich W. Nietzsche, Eraclito, Jacques Lacan, Ronald D. Laing, Oliver W. Sacks, James Hillman…, e si potrebbero scrivere molte pagine di epistemologia per spiegare che psicologia e psicoterapia hanno una diversa evidenza ed una diversa scientificità di riferimento.
Questo ci porterebbe tuttavia fuori tema e non consentirebbe di giocare fino in fondo ‘il gioco’ proposto dal mandato di questo contributo.
4. Una misura della deroga deontologica
La prima misura che sovviene della deroga deontologica è il discostamento dalla norma.
Si tratta di un discostamento formale e tangibile e non equivocabile.
C’è un articolato giuridico-formale, il Codice Deontologico, con un corpus prescrittivo (etica passiva) di regole cui attenersi: se c’è un discostamento, una condotta difforme, c’è una deroga deontologica.
Riferendosi l’etica passiva esclusivamente alla condotta tangibile, di fatti ‘conta’ solo ciò che è riscontrato e misurato (valutato) in una concreta logica di Diritto formale.
L’etica passiva del Codice consta di regole prescrittive, prescrive condotte tangibili, non convoca pensiero, emozione, intenzione, soggettività...: va ribadito una volta di più in questo contesto proprio per evocare una sicura misurabilità della deroga e una sua dimensione – anche procedurale – estremamente scientifica, con riferimento alla scienza del Diritto.
Ci sono poi deroghe e discostamenti che richiamano invece paradigmi diversi di scientificità, hanno una più complessa oggettivazione ed espongono altre dimensioni deontologiche: ci si riferisce all’etica attiva.
Anche qui i discorsi sarebbero lunghi e allontanerebbero dall’intenzione sottesa al mandato di questo contributo, come anche tanti altri ordini e sottordini della ‘misura’ della deroga deontologica.
Qui, come abbiamo fatto nel paragrafo precedente, richiamiamo soltanto la misura che più avvicina la misura deontologica a quella clinica, in modo che, ancora una volta, una possa mutuare dall’altra.
In clinica, lo psicologo sente quando una difficoltà non è organica e funzionale al processo, quando non ne è un passaggio prevedibile, quando è maldisposto nei confronti di quella seduta, quando non funziona bene, quando è insicuro e ‘imballato’.
Quando tutto questo può fare danno.
Lo psicologo sente questa difficoltà diffusa in lungo (nel tempo) e in largo (investe vari aspetti dell’esercizio professionale), ma quando può ritenersi formalmente su una soglia deontologica? per esempio, l’opportunità di non proseguire con quel caso clinico?
Introdurre la soglia deontologica è fondamentale perché, essendo vincolante giuridicamente, fornisce un riferimento formale, mentre l’opportunità clinica è più metabolicamente legata al “sentire” soggettivo, è sempre più complessa ed opinabile.
Bene, la soglia deontologica è costituita da un dato formale, dall’evocazione di un dato formale, dall’irruzione improvvida del richiamo formale laddove non dovrebbe esserci, laddove può soltanto dis-turbare: nel gioco intersoggettuale del processo terapeutico.
Quando lo psicologo esce dalla relazione (che è processo, non forma) per andarne a misurare gli andamenti su parametri formali, significa che –in quel caso- la sua insicurezza tecnico-professionale è arrivata a un punto così inabilitante che l’irresponsabilità di proseguire è sindacabile anche deontologicamente.
In questo caso, dunque, la deontologia è una sponda della valutazione di una condotta tecnico-professionale, perfino più scientifica e sicura della clinica.
È la deontologia che si assume la responsabilità di affermare qualcosa di sicuro e di fornire una misura formale, un riferimento certo alla clinica: è un errore mischiare mele e pere, misurare un processo relazionale sui parametri formali, stare con la testa su quello che dicono i libri mentre si dovrebbe stare con i pazienti.
Si tratta di una condotta che arreca sicuramente danno sia al paziente che allo psicologo e, quindi, non appena interviene, la prima volta che interviene il parametro formale laddove non deve, si finisce in una deroga deontologica se non si rimette quel mandato tecnico-professionale.
Questa deontologia così scientificamente probante è stata qui richiamata a giusta conclusione di un contributo che sfidava a collegarla alle misure dell’evidenza scientifica.
Barone L. - Gilardi S., Il concetto di competenza comunicativa in psicologia: una riflessione in chiave epistemologica, Epistemologia, VII, 1984;
Borgna E., I conflitti del conoscere, Feltrinelli, Milano 1989;
Brunner J., La ricerca del significato – per una psicologia culturale, Bollati Boringhieri, Torino 1992;
Dal Lago A., Il meta - libro di Bateson, in aut aut n. 251, sett. - ott. 1992;
Parmentola C., Il soggetto psicologo e l’oggetto della psicologia, Giuffré Editore, 2000;
Parmentola C., Prendersi cura, Giuffrè 2003.
Parmentola C., LA DEONTOLOGIA DEGLI PSICOLOGI - le conoscenze indispensabili all’esercizio professionale, edito dall’Ordine Psicologi Regione Campania, nel 2013 (prima edizione) e nel 2018 (seconda edizione);
Parmentola C., COSTRUIRE, RACCONTARE E CONNETTERE – la Deontologia nell’esercizio e nella storia della professione psicologica, edito dall’Ordine Psicologi Friuli Venezia Giulia nel 2018 (prima edizione) e dall’Ordine Psicologi Abruzzo – con Psiconline Editrice - nel 2018 (seconda edizione).