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Nome-del-padre e amore del papà

Roberto Pozzetti

Le due grandi questioni della psicoanalisi

La nascita e la genitorialità costituiscono ottimi argomenti per tornare sulle due grandi questioni che si poneva Sigmund Freud, quelle che lo hanno intensamente interpellato per tutta la vita. Freud poneva al centro della sua opera il ruolo del padre, basilare nella famiglia e nella formazione della soggettività, non soltanto a partire dai dati ricavati dalla clinica ma anche per il fatto di essere cresciuto nella cultura ebraica la quale imperniava l’organizzazione familiare sul ruolo paterno.

Freud si chiese, inoltre, in molti momenti della sua opera, “Cosa vuole una donna?” interrogandosi a diverse riprese sul tema della femminilità. Di questa ultima tematica mi sono occupato molto, in vari momenti del mio percorso di vita e della mia esperienza analitica, ma non la tratterò ampiamente in questo articolo. Mi limito a precisare che per l’inventore della psicoanalisi rimane una questione tutto sommato irrisolta. Egli situa tre modi di posizionamento delle donne rispetto a quell’elemento fondamentale che, per la psicoanalisi, è costituito dal fallo e dalla scoperta della propria mancanza la quale non avviene da subito nella bambina ma dopo qualche anno di vita. Uno è quello della vergine che “porta alla inibizione sessuale o alla nevrosi; il secondo a un cambiamento di carattere nel senso di un complesso di mascolinità; l’ultimo, infine, alla femminilità normale”1 che consiste nell’accettare la propria evirazione e nel ricevere il fallo da un uomo nella forma del figlio, sostituto del fallo stesso.
Il riferimento fallico lascia tuttavia, in parte, elusa la tematica della femminilità che ha portato gli uomini, e a volte le donne stesse, a lambiccarsi in ogni epoca il cervello senza riuscire a sciogliere tale matassa. In effetti “neppure la psicologia è in grado di sciogliere l’enigma della femminilità”2.
Freud accenna alla questione cruciale inerente la distinzione fra l’anatomia ed il destino cogliendo il fatto della soggettività fino a “trarre la conclusione che ciò che costituisce la mascolinità o la femminilità sia un carattere sconosciuto, che l’anatomia non sia in grado di cogliere”3.
Su questo tema, sarà a mio avviso fondamentale il rigoroso contributo di Lacan il quale, nonostante le note accuse di fallologocentrismo a lui mosse anzitutto dal celebre filosofo francese Jacques Derrida, giunge a smarcare decisamente l’anatomia dalla posizione singolare rispetto alla sessualità. La sua puntigliosa lettura di Freud schiude nuovi orizzonti alla psicoanalisi permettendo di attualizzarla e modernizzarla reinventandola ogni giorno, in ogni seduta. Per Jacques Lacan, donna è colei o colui che si situa in una logica non-tutta fallica quanto al godimento. L’uomo si caratterizza per un modo di godimento del tutto fallico tanto a livello dell’organo fallico quanto nei termini delle forme di godimento inerenti l’avere il fallo simbolico: il godimento della parola, del potere, del denaro, del successo, dell’affermazione sociale. Donna è chi gode al di là dell’avere, chi gode soprattutto sul versante dell’essere amata, dell’essere corteggiata, dell’essere desiderata.
Altrettanto rilevante appare l’interrogativo sulla genitorialità e, soprattutto sulla paternità. In effetti, il ruolo materno sembra molto più determinato su di un piano naturale: la gravidanza implica, per circa nove mesi, la permanenza del feto nell’utero e la nascita del bambino va di pari passo con una serie di modificazioni del corpo femminile che si predispone ad accudire il nuovo venuto, ad esempio, con l’allattamento al seno, in una riedizione di rapporti primari di attaccamento. La paternità non è affatto determinata a livello naturale in quanto presuppone sempre l’operazione del riconoscimento del figlio come proprio; per questo i latini affermavano: Mater certissima est, pater semper incertus. Non sono rari i casi di papà che misconoscono la loro implicazione nella nascita del figlio dubitando di esserne genitori, asserendo che la partner avrebbe intrattenuto rapporti sessuali con molteplici uomini, di non averne avuti loro stessi. Arrivano a sottoporsi al test del DNA per avere dalla certezza scientifica la conferma oppure la smentita della loro implicazione nella fecondazione.

Cos’è essere padre?
Sono sufficienti questi esempi per mettere in luce quanto la paternità si distingua dal piano meramente riproduttivo ed implichi un campo simbolico, nettamente disgiunto da quello relativo all’innestarsi dello spermatozoo in un ovulo.
Il padre non coincide con il papà biologico in quanto la paternità è una tematica simbolica da distinguere dalla genitorialità naturale. Il ricorso all’adozione, sia essa di tipo nazionale o internazionale, dimostra come la genitorialità – in questi termini anche la maternità – costituisca un ruolo sociale più che un fatto biologico. L’intervento della cultura nel campo dell’umanità (data dalla discendenza, dal linguaggio, dalle leggi, dalle relazioni di autorità, dall’eredità, dalla pregnanza della scrittura, dal ruolo basilare della lettura) va ad implementare il genotipo in un modo talmente netto da distinguere radicalmente l’essere umano dall’animale. Gli animali, spesso antropomorfizzati nelle loro rappresentazioni per bambini quali le fiabe ed i cartoni animati, agiscono sulla base dell’istinto studiato dall’etologia ma sono sostanzialmente privi di una logica culturale come è invece quella del linguaggio, della scrittura e della lettura. Per la psicoanalisi, a cominciare dallo stesso Freud, vi è una distinzione fondamentale da operare fra l’istinto e la pulsione: l’istinto (Istinkt) animale, ad esempio l’istinto di sopravvivenza oppure quello del nutrimento, va differenziato nettamente dalla pulsione (Trieb) che si colloca sempre “al limite fra il somatico e lo psichico”. La pulsione sessuale, l’Eros vitale, ed il Todestrieb o pulsione di morte implicano sempre un piano psichico e culturale oltre all’aspetto somatico-biologico dell’organismo.
Dunque la spinta pulsionale verso la genitorialità e, come detto sopra, in special modo verso la paternità, ben poco ha di naturale e si rivolge ad un piano simbolico che trascende l’organismo. Per questo si può essere padri al di là della procreazione e ci si riferisce comunemente alla paternità simbolica di un’idea, di un’invenzione, di una scoperta, ecc. Per questo Ippocrate viene unanimemente considerato il padre della medicina, per avere inventato l’omonimo giuramento sull’isola di Kos, Meucci il padre della radio, Ataturk quello della moderna Turchia, a Bill Gates viene riconosciuto il ruolo indiscusso di padre di Microsoft, a Mark Zuckerberg quello di padre di Facebook così come Freud è, per l’appunto, il padre della psicoanalisi. In questi termini anche una donna può assumere il ruolo di padre simbolico: Rita Levi Montalcini ricopre tale ruolo per le scoperte sui fattori di crescita del sistema nervoso, Mary Quant lo ha in riferimento alla minigonna, Marion Donovan per il pannolino.
Il padre può essere colui che presiede un’organizzazione, colui che la fonda, colui che la fa crescere prendendosene cura dedicandosi ad essa quasi come fosse un figlio.
Ma cosa caratterizza, allora, l’essere padre?

Il padre è colui che dona il nome
La mia prima tesi è che il padre sia colui che lega il suo nome a qualcosa oppure a qualcuno che gli succede. La medicina rimane ancora legata, dopo oltre due millenni, a Ippocrate e al suo giuramento; Microsoft appare tuttora come la creatura di Bill Gates; il social network Facebook risulta indissolubilmente legato al nome di Mark Zuckerberg. I successori di Ippocrate prestano ancora giuramento secondo la sua formula così come coloro che assumono degli incarichi istituzionali statali, perlomeno in Italia, prestano giuramento alla Repubblica ed al suo Presidente che rappresenta simbolicamente il padre della patria.
Si può chiaramente cogliere come il padre sia anche correlato con una gerarchia: il padre ha avuto un ruolo primario in un’organizzazione e, per questo, tende a rimanere al vertice della piramide gerarchica di un gruppo, di un’istituzione. Questa è una tesi freudiana: nelle masse formali, il padre è il capo di chi gli è sottoposto. Freud porta due celebri esempi di tali formazioni: la Chiesa e l’Esercito4. In quest’ultima chi ha un ruolo superiore nella gerarchia è padre di chi gli sta sotto e, nel contempo, è figlio di chi gli sta sopra: ad esempio, il tenente sarà padre del soldato semplice ma figlio del generale in una logica piramidale su molteplici livelli al cui punto apicale si troverà il comandante in capo, padre supremo delle Forze Armate. Ancora più evidente è quanto avviene nella Chiesa Cattolica dove il sacerdote è padre dei suoi figlioli, i fedeli, ma figlio dei vescovi i quali, nel Conclave, si riuniscono per eleggere il Santo Padre, rappresentante in terra del Padre Eterno.
Per essere padri o figli si tratta di passare per l’operazione di riconoscimento simbolico data dal nome: prestare giuramento, venire battezzati o cresimati, sono atti simbolici che implicano l’elargizione e il riconoscimento di un nome. Quando un bimbo viene battezzato diviene figlio della Santa Romana Chiesa con il nome attribuitogli dai suoi genitori dinanzi all’altare; quando un soldato oppure un operatore istituzionale prestano giuramento vengono riconosciuti come portatori di un’autorità, quella del pubblico ufficiale, dall’istituzione stessa. Al nome proprio si affianca un nuovo nome: quello dato dal Padre (Esercito, Chiesa, Stato, ecc.).
L’operazione paterna per eccellenza consiste nel nominare, nel dare un nome, un nome come forma di riconoscimento simbolico.

Il Nome-del-Padre come concetto clinico
È proprio questo il concetto alla base della diagnosi e della clinica differenziale di Jacques Lacan: il Nome del Padre fa da spartiacque fra nevrosi e psicosi. Una grande innovazione scientifica di Lacan, un suo rilevante contributo è il concetto del Nome-del-Padre e della sua eventuale preclusione. Nella nevrosi, il soggetto assume il Nome del Padre; nella psicosi, risulta inaccessibile questo elemento simbolico chiave e questo rimarrà precluso, come dice Lacan traducendo la Verwerfung freudiana (letteralmente, il rigetto) con un termine giuridico. La preclusione, in contesti giuridici, descrive l’impossibilità di accedere a determinati benefici, a misure alternative rispetto alla carcerazione, l’innammissibilità di un’istanza o di un ricorso, l’impossibilità di esercitare una funzione quali certi diritti. La Verwerfung era già per Freud qualcosa di diverso dalla rimozione (Verdrangung) nevrotica. Lacan giunge a considerarla il meccanismo fondamentale delle psicosi.
A livello clinico, il Nome-del-Padre viene calato nel contesto delle dinamiche familiari e sta ad indicare un elemento di funzionamento quando risulta operativo e di disfunzionamento quando rimane precluso. Funziona là dove la madre riconosce l’autorità paterna ed il figlio saprà assumerne le insegne. È disfunzionale qualora la madre escluda dei riferimenti altri, terzi, dall’esistenza del figlio ed instauri un rapporto simbiotico ed alienante con lui. La formulazione con cui Lacan inizia, fin dagli anni Trenta, ad introdurlo è quella di gruppo familiare decompletato, “laddove ha il suo massimo effetto quell’isolamento sociale”5 tanto propizio allo schiudersi di una costruzione delirante incrollabile. Nelle famiglie in cui manca il padre, si assiste infatti, con maggior frequenza all’emergere di deliri psicotici, sia nella forma del figlio che inizia ad uscire dal solco (de-lirare deriva infatti dal latino lirare inerente il solcare i campi con l’aratro tracciando dei solchi) sia in quella delle folies-à-deux in cui sono coinvolti madre e figlio, due sorelle, marito e moglie, eccetera. L’esclusione del padre e, più estesamente, del terzo trova la sua forma maggiormente comune in alcune forme di follie-a-due in cui la coppia che si rafforza nelle convinzioni deliranti è costituita dal legame madre-figlia in una deriva femminile volta ad emarginare radicalmente l’elemento maschile dall’istituzione familiare stessa.

Il Terzo stabilisce la legge
Il padre ha dunque la funzione di introdurre la legge per tagliare, almeno in parte, il rapporto simbiotico madre-figlio oppure madre-figlia. Nel momento degli eccessi materni, nei momenti in cui la madre sbotta perdendo la pazienza nei confronti del bambino, è fondamentale che vi sia un terzo in grado di frenarla e di interporsi con una modalità pacificante e calmante che bonifichi tale relazione incandescente. Questa funzione va a mediare i conflitti, a stemperare le tensioni, ad attenuare le escandescenze materne introducendo delle regole che preservano il bambino, più vulnerabile e impotente, maggiormente esposto ai capricci della mamma tanto da chiedersi ripetutamente: “Tu, mamma, da me cosa vuoi?”. Dunque il padre non coincide con la persona del papà in quanto il padre è l’elemento terzo in grado di compiere questa operazione di separazione, nella legge. Tale ruolo, oltre che dalle normative dello Stato, può essere svolto da uno zio, da un fratello, da un ideale, da un’altra donna nel caso di un matrimonio saffico.
Oggi, nel mondo occidentale, siamo nell’epoca dello sgretolarsi del padre, della crisi dello Stato, delle religioni, delle ideologie imperniate su una figura paterna. Ora si può irridere il Sindaco in un Consiglio Comunale, accusarlo di tristezza, insultare il Capo dello Stato senza alcuna conseguenza penale. In altre parti del mondo, invece, troviamo ancora l’autoritarismo paterno: a volte questo si affianca alla religione e ad una lettura integralista dei testi sacri che emargina le donne entro le mura domestiche per mantenere la supremazia paterna e più ampiamente maschile; altre volte questo si affianca all’idea nostalgica di una grande nazione con il leader che fa da padre di una moltitudine e che viene accolto da ovazioni e cori da stadio in nome della rivincita del paese ferito. In realtà comunitarie, troviamo ancora casi in cui il patriarca che si pone come buon padre di famiglia per mille figli poi mette in atto oscenità, percosse, violenze, abusi inenarrabili.
Tuttavia vi sono ancora alcuni individui che svolgono dei ruoli paterni e che, spesso, lo fanno anche bene.
Quando parliamo dell’importanza della funzione del padre per una sana evoluzione del bambino non ci riferiamo al modo di porsi del papà come persona così come non ci interessa tanto la mamma nella sua persona. Non conta il fatto che il papà sia giovane o vecchio, colto o poco colto, fisicamente presente in casa oppure molto assente, dedito al lavoro oppure disoccupato, eccetera. Questo è tanto più importante in un momento storico in cui il tradizionale ruolo del padre sembra modificato dai cambiamenti sociali che lo portano spesso ad essere presente in casa per lo stesso tempo della madre.
Il papà può essere la più brava persona del mondo senza, tuttavia, riuscire a svolgere adeguatamente il suo compito; può essere un uomo con delle lacune, con dei limiti, eppure, forse proprio per questo, funzionare molto bene come padre. Ad esempio, quando ci sono dei ragazzini con disturbi psichici, è inutile cercare nel papà o nella mamma la colpa di chissà quali problemi; analogamente, quando incontriamo un bambino brillante ed equilibrato non siamo in grado di scorgere la qualità dei genitori che ne ha consentito una crescita tanto serena. Diciamo che il bambino è l’effetto di una propria risposta, di una risposta soggettiva alle condizioni familiari ed ambientali in cui è nato e cresciuto. Basti pensare ai casi di fratelli gemelli oppure di sorelle gemelle il cui destino risulta del tutto diverso nonostante siano entrambi nati e vissuti nello stesso humus culturale: una bimba diverrà via via una donna affermata, brillante e di successo tanto nel campo professionale quanto in quello dell’amore e delle amicizie; la sorella avrà un’evoluzione soggettiva inibita, volta alla depressione e resterà imbrigliata per molti anni della sua età adulta nelle grinfie della famiglia d’origine senza riuscire ad acquisire una propria autonomia.
Quello che risulta fondamentale è, comunque, il modo in cui i genitori hanno svolto la loro funzione simbolica, ad esempio il modo in cui la madre parla del padre al figlio. Se parlando del marito lo valorizza ne scaturirà un’identificazione, se lo critica il bambino ne trarrà un certo smarcamento, se lo esclude si instaurerà un legame asfissiante fra madre e bambino che potrebbe comportare delle serie conseguenze per la sua esistenza.

Il Nome del Padre è il significante
Abbiamo detto che il compito essenziale del padre sta nel dare il nome, ad esempio nel dare il cognome al figlio che si trasmette così per legge, registrandone la nascita all’Ufficio Anagrafe del Comune di residenza ed iscrivendo, così, il bambino in un consesso comunitario. Ma che cos’è il nome? Il nome è qualcosa che precede il soggetto, che ne precede la nascita, in quanto il figlio assumerà appunto il cognome paterno. Precede, però, anche la nascita del papà, il quale ha assunto a sua volta il cognome di suo padre. La normativa europea, ora approvata anche in Italia, volta a permettere alla madre la trasmissione del proprio cognome al figlio cambia poco, in questa logica: come scritto poc’anzi, anche la mamma può compiere un’operazione simbolica di stampo paterno.
Il fatto è che il campo del linguaggio precede sempre il soggetto in quanto ognuno di noi ascolta, fin dalla nascita, sin dalla vita intrauterina, le voci dell’ambiente familiare (la voce della mamma, del papà, dei nonni, dei fratelli maggiori, dei vicini di casa, degli amici dei genitori e così via). La voce precede sempre il soggetto e il neonato la riconosce. Vi sono esperimenti, citati da Andrè Green6, relativi al registrare la voce della mamma ed al farla ascoltare ai neonati staccati dalla genitrice stessa già al primo giorno di vita: l’effetto è l’immediata reazione dell’infante che dimostra di recepire la voce materna come familiare fin dal primo giorno di vita, anche senza gli altri stimoli sensoriali. Lacan mette in forma logica la questione dell’Edipo freudiano, descritto nell’Interpretazione dei sogni, attraverso il riferimento alla linguistica strutturale del ginevrino De Saussurre. Il celebre linguista rintraccia la differenza fra significante, immagine acustica, e significato. Le leggi dell’inconscio freudiano sono condensazione e spostamento e queste si ritrovano nelle formazioni dell’inconscio, come appunto il sogno. In esse, un elemento del contenuto manifesto onirico rinvia ad un contenuto latente attraverso una sostituzione metaforica in cui un elemento rappresenta un altro rimosso (ad esempio, sognare una volpe rinvia all’astuzia) oppure attraverso una denotazione che sposta l’elemento inconscio in un altro deformato, ad esempio con il cambiamento di una lettera (come nel sognare Dio per indicare lo zio). Tali regole dell’organizzazione delle formazioni dell’inconscio vengono rilette in termini strutturali accostando la condensazione alla metafora, secondo la quale ogni significante può corrispondere a più significati contemporaneamente aggiungendo senso e velando l’elemento rimosso ed inconscio; analogo è il nesso fra la metonimia e lo spostamento in cui viene detta una parte per il tutto.
Tornando all’Edipo, la domanda principale che si pone un bambino, anche molto piccolo, è: “Cosa vuole mia madre?”. Egli si accorge che la madre non rivolge sempre a lui le sue attenzioni, che guarda altrove, che il suo desiderio è articolato con qualcosa che si situa da un’altra parte. La risposta più comune del bambino riguarda il padre: la madre si interessa al padre e, quando non è con lui, sta con suo padre; quando non desidera lui, desidera suo padre.
È quanto si ritrova nell’operazione logica della metafora paterna dove il Desiderio della Madre, inteso come il desiderare di una madre in quanto donna, lascia filtrare il Nome-del-Padre, che si sostituisce ad esso. Si tratta di un’operazione metaforica. Vi è in gioco una metafora in cui un significante sostituisce un altro significante. Il significante paterno sostituisce quello del desiderio materno. L’effetto di questa sostituzione è il riconoscimento del fallo come significato. Il desiderio materno è la metonimia della mancanza: la madre sposta la propria mancanza femminile nel desiderio rivolto al padre il quale, avendo il fallo, la può completare. Ne può completare la femminilità, ad esempio, dandole un bambino, inteso da Freud quale sostituto del fallo che le manca.
La metafora paterna costituisce il lavoro di ordinamento rigoroso e strutturale operato da Lacan rispetto al mito dell’Edipo di Sofocle, considerato dal fondatore della psicoanalisi il complesso nucleare di ogni nevrosi. Il fallo non è il pene: il fallo è il significato della mancanza materna e del suo desiderio: per questo il bambino, maschio o femmina che sia, dovrà posizionarsi rispetto all’avere o no il fallo.
Un altro modo in cui il padre svolge la sua funzione è quello del trasmettere, per legge, il suo cognome al figlio. Non è qualcosa di banale poiché l’assunzione di un Nome è emblematica di come il bambino venga al mondo in un ambiente ben definito assimilando una storia, una cultura, un’organizzazione familiare che lo hanno preceduto. Il bambino non è una tabula rasa alla nascita in quanto prende il posto che i genitori e le loro famiglie gli hanno riservato. Questo lo si vede dalla stanza che gli hanno preparato quando hanno acquistato un appartamento e già riservavano un posto ad un figlio che sarebbe venuto un giorno lontano.
Lo si vede nella scelta del nome proprio che risulta spesso molto significativa del modo di articolare il desiderio parentale nei confronti del bimbo.
Vediamo il cognome: quando il padre si rifiuta di riconoscere legalmente il figlio, di dargli il suo cognome, per quest’ultimo sono guai.
Tutto questo precede la nascita del figlio. Ovviamente vi è anche la funzione del padre della Legge nel corso della vita del figlio. Il padre ha, innanzitutto, il compito di “fare” la Legge nei confronti della madre ponendole dei limiti nel legame con il figlio, un legame che rischierebbe di divenire simbiotico. Dunque il padre deve tagliare, recidere il rapporto fra madre e figlio interdicendo questo nesso viscerale. Ecco il concetto di castrazione introdotto da Freud. In effetti già per il fondatore della psicoanalisi la castrazione si presenta come una regola per certi versi strutturale in quanto il tabù dell’incesto descritto in Totem e tabù7oltre che essere effetto dell’operazione di interdizione paterna viene ad assumere una funzione universale di Legge basilare rintracciabile in culture fra loro radicalmente diverse. Non sempre è così: ci sono madri che dormono con i figli maschi di 25 anni causando loro seri problemi.
Il significante parla strutturalmente ad ogni essere umano, senza che questi ne sia padrone; viene però, di solito, riconosciuto dal soggetto come qualcosa di proprio (ricordo, fantasia, impressione fugace, illusione, immaginazione tormentosa, pensiero intrusivo, eco immaginaria, ossessione, eccetera). A volte non è così: il signficante si sonorizza, parlando ad alta voce al soggetto, di solito con virulenza, in modo talmente intenso che egli si convince, con un’accezione di certezza, della realtà di quanto percepisce. È il momento dello scompenso di una psicosi, fino a quel momento coperta da altri sintomi, da passioni e relazioni che avevano fatto da stampella. Sarebbe ingenuamente sbagliato chiedere ragione al soggetto di quanto percepisce in quanto l’allucinazione verbale è la dimostrazione più eclatante di come il signficante possa giungere ad imporsi a lui, in una sorta di annichilimento soggettivo. Il fatto che vi sia un perceptum, elemento percepito, lascia in sospeso la questione sull’esistenza del soggetto percipiens: la clinica dimostra come l’esperienza allucinatoria avvenga in una sorta di momento di assenza del soggetto che si manifesta in vari modi (perplessità totale circa quello che gli succede, mutismo atterrito che ne consegue, incapacità di domandare aiuto e di formulare un appello, crollo psicofisico, imposizione di agiti autolesionistici e suicidari). Quello che la psichiatria classica, ad esempio con Baillarger, aveva definito una percezione senza oggetto si rivela, in effetti, una percezione senza soggetto in quanto il soggetto ne risulta annichilito e la subisce del tutto passivamente. Ciò lascia intatta ed inattaccabile la certezza che l’esperienza vissuta riguardi profondamente il soggetto al punto da dover costruire, via via, un’elaborazione delirante circa quanto gli è successo.
La tesi di Jacques Lacan, una di quelle che più lo hanno reso celebre in tutto il mondo, è che questa fase di scompenso, in cui il significante si scatena divenendo reale per il soggetto che lo percepisce, avvenga quando il soggetto diventa padre oppure incontra una figura paterna a lui contrapposta. Per questo la paternità, reale o simbolica, costituisce una situazione particolarmente rischiosa quanto al manifestarsi di psicosi fino ad allora ben compensate.
Ciò che risulta decisivo per la nevrosi è il nome dato al desiderio della madre: la funzione paterna così come la funzione fallica, ad esempio nella rivalità con il padre. Si tratta di porre dei limiti, di esercitare un compito autorevole e, alcune volte, anche autoritario. Basti considerare il tempo ampio, a volte quasi infinito ed illimitato che certi bambini trascorrono dinanzi alla televisione oppure ad altri schermi come quello del computer portatile per giocare alla Play Station, per vedere i cartoni animati preferiti, per guardare svariati programmi oppure dinanzi allo smartphone per chattare sui social network. Diverso è l’apprendimento scolastico dinanzi allo schermo, non soltanto in tempi di pandemia ma anche considerando i dispositivi digitali come risorsa preziosa per la trasmissione di conoscenze. Si tratta comunque di porre un limite, con modi pacati ma fermi dinanzi alle lamentele piagnucolanti dei figli. A volte, per evitare conflitti e scenate, i genitori assecondano sistematicamente i loro figli, divenendo succubi della loro posizione di forza e di padronanza.
Sono le madri ad inventare il Nome-del-Padre riconoscendo autorità ad un terzo che può essere chiunque e qualunque cosa, oltre al papà. L’importante è che la madre abbia un interesse, una passione in grado di distoglierla dal legame asfissiante col bimbo: secondario è che sia rivolta ad un uomo o ad una donna in forma di desiderio sessuale, ad un’attività professionale, ad un ideale, ad un libro, ad un attore, ad un cantante, ad una squadra di calcio.
La madre acquisisce qualcosa quando fa un figlio, trova un completamento. Il papà, invece, perde qualcosa. C’è una perdita reale, una perdita di soldi, una perdita relativa al distacco ed alla separazione che avviene facilmente dal padre. In caso di divorzio il figlio rimane quasi sempre con la madre. Questa perdita va recuperata sul piano simbolico; ad esempio comporta un’assunzione di responsabilità simbolica.
Tutto questo concerne il padre simbolico.

Il padre morto
Dal momento che il padre esula dalla persona del papà ed è invece il significante, il modo di funzionamento per eccellenza del Nome-del-Padre è quello del padre morto. Gli studi sulle società primitive descritti da Freud nel già citato Totem e Tabù e poi confermati dalle ricerche antropologiche di Lévy-Strauss hanno posto in auge la funzione simbolica del totem. In questa vicenda mitica, il padre dell’orda primigenia, il padre delle tribù primitive, emblema mitico di un’età dell’oro perduta, aveva il privilegio di poter godere di tutte le donne. La comunità dei fratelli, fra loro riuniti in un’alleanza, si ribella però a tale organizzazione ed aggredisce il padre uccidendolo. Morto, il padre proibisce quanto proibiva da vivo con l’apposizione del totem e le donne rimangono comunque qualcuno di cui non si può godere. Il totem costituisce, dunque, una forma capitale dell’ordine simbolico in quanto rende presente il ruolo paterno di proibizione dell’incesto anche in absentia della figura del padre, trasformato in significanti paterni, per esempio in sogni o ricordi oppure fantasie centrate sui discorsi che faceva a suo tempo.
Il padre morto dimostra lo sganciamento della funzione del Nome-del-Padre dalle relazioni della quotidianità. Questo è uno dei motivi per cui, nell’analisi, la posizione di ascolto silenzioso dell’analista assume molta rilevanza: l’analista va, così, ad incarnare una presenza/assenza analoga a quella del padre morto. Ciò permette lo spostamento del lavoro analitico dal piano delle relazioni interpersonali a quello simbolico in cui l’analizzante parla e compie libere associazioni mentre l’analista interpreta da una posizione simbolica. Questa impostazione clinica risulta maggiormente oggettiva rispetto a chi interviene basandosi su qualche misteriosa proprietà delle emozioni in quanto si fonda, anziché sui vissuti controtransferali dell’analista, su dati precisi inerenti il discorso concreto del paziente.

Dare ciò che non si ha: l’amore del papà
La mia ultima tesi concerne il passaggio epocale relativo ai padri contemporanei. Nell’epoca in cui la figura paterna è storicamente in declino – sia pur con le debite eccezioni relative a certi contesti di integralismo religioso e ad alcune nazioni ai cui vertici troviamo un leader autoritario -, assistiamo al ruolo nuovo dei papà: un passaggio dalla funzione simbolica del padre allo svolgimento dei compiti pratici.
Una volta il padre si dedicava al lavoro, era sovente fisicamente assente ma simbolicamente presente in quanto la madre ne riconosceva la parola e l’autorità. La madre, trascorrendo buona parte delle giornate in casa con il figlio ed essendo fondamentalmente volta al suo accudimento, ne evocava la parola che diveniva legge familiare.
Vi è un altro compito del padre che va svolto insieme al mettere la legge, le regole, al figlio ed alla madre: è quello di mettere amore nella Legge, nello svolgimento del suo compito. Quello della madre, che, di solito, è più concentrata sull’accudimento e l’amore per il figlio, è quello di normare il proprio amore secondo la Legge.
Fino a qualche decennio fa, i padri spendevano pochissimo tempo con i figli. Oggi stanno molto con i bambini, si prendono dei congedi di paternità dal lavoro allo stesso modo delle mamme nel periodo immediatamente successivo alla gravidanza, dedicano un giorno la settimana ai figli, si prendono cura dei neonati, li allattano con il biberon, danno loro la pappa, li cambiano, fanno loro il bagnetto, guardano e commentano con loro i cartoni animati à la page, come Peppa Pig.
In fondo, la grande questione cui accennavamo nelle prime righe del testo, quella sul che cosa signfica essere donna, risulta oggi di estrema attualità anche per gli uomini. L’epoca del declino paterno diviene, per certi versi, l’epoca di un maggior spessore sociale delle donne. Le donne acquisiscono potere, assumono ruoli sempre più rilevanti nella società, prendono posizioni chiave, rivendicano ed ottengono le quote rosa e si smarcano dalla definizione di “sesso debole”.
Questa evoluzione è senz’altro importante e la psicoanalisi, lungi dal rimpiangere il passato, lungi dall’aver nostalgia dei tempi che furono, sospende il giudizio su quanto è accaduto, con una epochè husserliana. La psicoanalisi opera a partire dalla concretezza del mondo reale in una logica di storicità dell’inconscio e dei sintomi per i quali lo psicoanalista viene consultato.
Il rischio di questa epoca è una certa femminilizzazione paterna per cui si assiste sempre più spesso alla figura del cosidetto “mammo”, del papà che svolge un ruolo materno anziché mettere dei limiti e svolgere il compito di rappresentare la legge. Il papà dell’amore è perfettamente compatibile con il soggetto psicotico che diventa papà. Un soggetto per cui il Nome-del-Padre risulta precluso strutturalmente, cosa si troverà a dare al figlio? Dovrà dare il proprio nome riconoscendolo come proprio figlio, andandone a registrare la nascita all’Ufficio Anagrafe, iscrivendolo con il proprio nome nei contesti istituzionali che frequenterà? Dovrà dare ciò che non ha. È ormai noto e spesso citato il celebre aforisma di Lacan sull’amore: “Amare è dare ciò che non si ha”. Amare si distingue dalla psicologia del ricco il quale potrà dare, senza fatica, ciò che ha. Amare implica dare la propria mancanza in quanto “non c’è dono possibile più grande, segno d’amore più grande del dono di ciò che non si ha”8.
La figura paterna femminilizzata costituisce un’icona clinica frequente anche nell’isteria, posizione discorsiva più tipica delle donne come è ben descritto dalla parola stessa che rinvia ad utero, in greco. L’ascesa al potere delle donne in numerosi campi (politico, economico, sociale, ecc.) ha avuto numerosi effetti positivi ma ha anche determinato una certa tendenza a castrare l’uomo.
Abbiamo, così, papà sempre più castrati anziché padri portatori di un fallo potente, come avveniva spesso nella belle èpoque della psicoanalisi. Si instaura, così, una certa confusione di ruoli in cui le differenze fra maschile e femminile, fra mamma e papà, fra uomo e donna, risultano ridotte. Questo implica anche una certa difficoltà di identificazione di genere nei figli, sprovvisti di punti di riferimento solidi e di modelli chiari.

Dal padre ai papà della coppia genitoriale
Credere che la questione paterna si concluda sul pur cruciale piano simbolico implicherebbe fare del significante qualcosa che esaurisce tutto dell’essere umano e dell’esistenza. In effetti non tutto è significante, non tutto si struttura a livello simbolico. Vi è, fra l’altro, anche il padre reale. Ma che cosa caratterizza il padre nella sua accezione reale? A questo livello abbiamo a che fare con il padre da intendere come un soggetto pulsionale quale tutti gli altri. Si distingue da un’entità disincarnata, caratterizzata da puro spirito come nel caso del Nome-del-Padre, il cui emblema viene rappresentato appunto dal padre morto. Qui abbiamo il padre vivente, il padre in carne e ossa, il padre con un suo desiderio erotico, il padre che fa di una donna la causa del suo desiderio, che desidera sua moglie oppure altre donne. È così che il figlio può incontrare un legame di desiderio forte fra i genitori.
Il bambino tende a riprodurre le azioni dei genitori e a rivivere buona parte di ciò che sperimenta nell’alveo familiare. Dunque, se non coglie desiderio fra loro, crescerà a sua volta senza desiderio, senza interessi, senza passione, con una certa apatia.
La situazione comune è quella per cui, nel discorso genitoriale, il soggetto trova qualcosa di non del tutto chiaro, di non completamente definito. Può essere un silenzio enigmatico, può essere la domanda su cosa fanno i genitori nella loro camera, può essere un segno di affettività. Da tutto questo sorge talvolta una questione intorno al «Che vuoi?», un interrogativo circa il desiderio, a partire dal quale diviene possibile interrogarsi sul proprio desiderio.
Un bambino può, per esempio, provare piacere nei contatti con sua madre. La funzione del padre non è solo quella di proibire tale intimità ponendosi come terzo ma anche quella di dire che è lui a desiderare sua madre. Non si tratta solo di dire no ma anche di dimostrare una sincera attrazione per la propria donna, per la madre del proprio figlio. E si tratta di dirgli: “Anche tu un giorno potrai avere una ragazza! Anche tu avrai un fidanzato!”, ecc. Fondamentale è che il figlio percepisca desiderio fra i genitori, oltre che una certa coesione rispettosa, nonostante un’eventuale separazione. Anche i figli di genitori separati, possono rintracciare nei propri genitori le basi per assumere un proprio desiderio.
Vi sono certamente tanti papà. Questo è un fatto di tutta evidenza. Un papà, per svolgere almeno un po’ del ruolo paterno si orienta su di un ricordo, su di una storia, su di una memoria che trae origine da un insegnamento che ha comunque ricevuto. Nel 2007, mentre mi recavo ancora dal mio precedente analista, prima di ricominciare il mio percorso analitico a Parigi con allievi diretti di Lacan, sognai un collega dell’istituzione ove lavoravo all’epoca, di nome Paparesta. Lo associai a: “Papà - resta”. Il papà resta un riferimento fondamentale per l’essere umano, per i figli, per una famiglia. Perché il papà resti uno dei possibili punti di riferimento, bisogna che il soggetto abbia assunto, in qualche modo, a proprio modo, una prospettiva metaforica che vada al di là della persona del papà, cogliendo una dimensione paterna di tipo simbolico.

Bibliografia

A. Green, Illusioni e disillusioni del lavoro psicoanalitico, Raffaello Cortina, Milano, 2011.
Freud, Opere, La femminilità in Introduzione alla psicoanalisi (Nuova serie di lezioni), volume 10, p. 232, Bollati Boringhieri, Torino
S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io in Opere, Volume 9, Bollati Boringhieri, Torino.
S. Freud, Totem e tabù in Opere, cit., Volume 7.
J. Lacan, I complessi familiari nella formazione dell’individuo, Einaudi, Torino, 2005
J. Lacan, Il Seminario. Libro IV. La relazione d’oggetto, Einaudi, Torino, 1996

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