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VITO TUMMINO

La guerra di aggressione che la Federazione Russa ha iniziato contro le regioni del Donbass nel 2014 è sfociata nel febbraio di quest’anno in una nuova fase di guerra a tutto campo contro l’Ucraina.
Credo sia sentimento comune degli psicologi condannare tutte le violazioni del diritto internazionale e siamo solidali con tutti i colleghi ucraini e russi che lavorano per la pace. L’invasione russa dell’Ucraina genera una delle peggiori crisi umanitarie recenti e solleva questioni etiche e professionali per le Società Scientifiche. Come psicologi siamo infatti direttamente chiamati a operare per la prevenzione e la cura dei danni psicologici della guerra. Le Società Scientifiche della FISP (Federazione Italiana Società di Psicologia) stanno aiutando, secondo le specifiche competenze, coloro che a vario titolo sono coinvolti nelle atrocità del conflitto (https://www.psy.it/psicologi-per-emergenza-guerra).
Il fine ultimo della nostra professione è la ricerca del benessere dell’individuo e della collettività. Questo significa che gli Psicologi, sia Ucraini che Russi, non potranno mai approvare la guerra o il conflitto violento perché vanno nella direzione della sofferenza umana e della distruzione. L’Assemblea dell’Unione Internazionale delle Scienze Psicologiche e l’Assemblea dell’Associazione Internazionale di Psicologia Applicata, nel luglio 2008 a Berlino, hanno sottoscritto la Dichiarazione Universale dei diritti psicologici che nel preambolo recita: «Psychologists are committed to placing the welfare of society and its members above the self-interest of the discipline and its members». Il Meta, codice europeo dell’EFPA approvato dall’Assemblea Generale di Granada nel Luglio 2005, all’art. 2.1 richiama al rispetto dei diritti e della dignità della persona. Queste risoluzioni delle nostre rappresentanze europee e mondiali definiscono l’opposizione radicale degli psicologi alle politiche di violenza.
In un contesto come quello attuale in cui il dialogo e lo scambio professionale risultano essere fondamentali per le relazioni e la condivisione di esperienze, segnalo un fatto a mio parere increscioso: il primo giugno 2022 le Associazioni membri dell’EFPA hanno votato per l’espulsione della Russian Psychological Society dall’EFPA. È il modo giusto di rispettare le norme deontologiche che ci siamo dati? Di cosa si sono resi responsabili gli psicologi russi?

Una collega russa mi scrive nell’aprile di quest’anno (ometto i dati per proteggerla da possibili ritorsioni):

«Caro Vito!
Scusa se non ho risposto subito alla tua lettera. È così difficile trovare le parole per esprimere i miei sentimenti e il mio atteggiamento nei confronti di ciò che sta accadendo. Sentimenti di colpa, vergogna e dolore infinito per ciò che viene fatto per conto del mio Paese. Purtroppo non possiamo cambiare la situazione. In Russia è diventato pericoloso anche solo dire: io sono per la pace! Qui puoi andare in prigione se esprimi critiche sul fatto che il nostro Paese ha iniziato una guerra. E inoltre, la propaganda è così forte che molte persone non capiscono cosa stia realmente accadendo, credono alle orribili bugie che vengono trasmesse attraverso i canali di informazione ufficiali.
Sembra tutto un brutto sogno o un film spaventoso. Voglio svegliarmi. Ma svegliarsi ogni mattina non porta sollievo. Molti dei miei amici sono traumatizzati e depressi. Non vogliamo la guerra. Ma anche parlarne è pericoloso. Solo una persona prende decisioni, sai chi. Siamo tutti ostaggi.
Ti sono molto grata per la tua lettera e il tuo supporto, è molto prezioso. Sarò felice se continuiamo a comunicare e trovare opportunità di collaborazione…».

In questo contesto, come guardiamo il mondo? Con disperazione o con fiducia per il futuro? Oggi come non mai la speranza è un sentimento difficile a cui fare spazio dentro di noi e collettivamente difficile da costruire: tutto sembra indurci alla rassegnazione e al pessimismo.
Da quando, alla fine degli anni ‘80, ho iniziato la mia professione di psicologo, non ho mai assistito a così tanti problemi sociali devastanti e contemporanei: pandemia, crisi economica e climatica e ora la guerra in Europa.
La rapida diffusione della disinformazione nei socialmedia, anche ad opera di governi, gli alti tassi di violenza e di aggressività, il livello crescente di problemi di salute mentale, il razzismo sistemico in corso contro i rifugiati, sono esempi di disordine sociale e culturale accompagnati a estremizzazione delle posizioni ideologiche e di 

conflitto tra visioni irrealistiche ed esame di realtà (vedi battaglia dei no-vax contro la Scienza). Ricordo le sagge parole di Franco Fornari secondo cui una situazione di sfiducia verso le istituzioni – e oggi in particolare contro le istituzioni scientifiche – comporta un aumento dell’angoscia individuale e collettiva con la conseguente riduzione del sentimento di protezione.
Nell’affrontare i problemi che abbiamo davanti, può essere facile confondere la loro complessità con l’impossibilità di risolverli. Tuttavia, la mia esperienza clinica mi ha insegnato che anche le sfide più grandi possono essere risolte con il giusto atteggiamento di collaborazione e di unità del mondo scientifico e professionale: solo impegnandoci nella diffusione delle conoscenze e delle buone pratiche professionali, la Psicologia può contribuire a sollecitare una “resilienza collettiva”.
La crisi connessa al conflitto in corso sfida la società in molti modi, comprese le decisioni su quali siano le migliori risposte basate su principi umanitari, storia, ideologia e ragioni pratiche.

Le Società scientifiche e professionali attraverso la formazione e la ricerca offrono ai decisori percorsi di gestione sociale della crisi collettiva di perdita di fiducia e di speranza per il futuro. La sfida della Psicologia è di confrontarsi con il sociale e con le realtà politiche offrendo strumenti e impegno per servire meglio la comunità umana. L’Articolo 3 del nostro Codice deontologico recita: «Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace...».
Le Società scientifiche sono dunque impegnate a promuovere la produzione di conoscenze specifiche relative a comportamenti individuali e collettivi al fine di affrontare questioni sociali e crisi umanitarie che minano il benessere psicologico di individui e collettività.

Queste le domande che interrogano le Società scientifiche e le Organizzazioni professionali degli psicologi:
1. come la Psicologia può rispondere e contribuire ad alleviare gli effetti di tali crisi;
2. quali sono gli esempi di intervento psicologico e/o iniziative specifiche;
3. quali sono le implicazioni dei possibili interventi;
4. quali iniziative per affrontare uno stato di stress traumatico collettivo.

 

In questo numero di Link nella sezione Focus ospitiamo un articolo di P. Madera e S. Zanetti (Il ruolo della psicologia nell’Italia post-covid: una riflessione sull’evoluzione dell’identità professionale in questo tempo di crisi) che ci conduce a una nuova visione dell’agire della Psicologia: come invertire la in-cultura sociale diffusa, focalizzata sull’interesse personale e sulla propria nicchia di appartenenza etnica, di classe e/o ideologica, per orientarsi verso la promozione di uno spirito di comunità solidale, empatica, collaborativa e inclusiva? Nonostante il profondo crollo dell’impegno civico e dell’azione collettiva che sta caratterizzando la società attuale è proprio questa la sfida della pratica psicologica: promuovere una nuova cornice per sviluppare la funzione di cambiamento sociale che la Psicologia può avere.

Nella sezione Strumenti Santo Di Nuovo, Maria Grazia Costanzo e Rossana Smeriglio nel loro articolo (Tecnologie basate su Intelligenza Artificiale a supporto dei trattamenti psicologici per i Disturbi dello Spettro Autistico) ci presentano una rassegna scientifica su come siano stati sperimentati con successo alcuni dispositivi tecnologici di intelligenza artificiale, realtà virtuale, robotica, progettati per la regolazione e autoregolazione dei processi cognitivi, delle emozioni e dei comportamenti. I dati di ricerca qui presentati dimostrano che gli strumenti sono più efficaci se possono essere inseriti all’interno di una programmazione individualizzata, fondata su validi e sperimentati modelli psicologici, ad esempio le applicazioni nel campo dei disturbi dello spettro autistico.

La Storia clinica di questo numero (Antonella: un caso di disturbo del comportamento alimentare in un’adolescente con NF1 ai tempi del Covid-19), a firma di Polito, A.N. e Scirano, A., ci presenta il caso di una persona con diagnosi a 10 anni di 

Neurofibromatosi e una valutazione psicodiagnostica con molteplicità di sintomi, che dopo un anno di terapia individuale e familiare sta molto meglio e continua ad utilizzare ciò che ha appreso durante il suo percorso: un dialogo interno molto più flessibile e in grado di riconoscere i “campanelli di allarme” attraverso tecniche di mindfulness e self-compassion.

Nella sezione Riflessioni C. Parmentola ed E. Leardini ci introducono al complesso sistema di valutazione della Evidenza scientifica in deontologia. Vengono presi in esame termini vissuti dal terapeuta nel suo agire tra etica attiva ed etica passiva, deroga tecnico-professionale e deroga deontologica nei passaggi in cui avverte disagio e criticità nella continuità della cura: è la deontologia che ci guida nell’assumere la responsabilità di affermare qualcosa di sicuro e di fornire una trasparenza formale in riferimento alla clinica.

La sezione Ricerche ospita due contributi. Il primo, a firma di G. Buono, S. De Laurentis (La valutazione degli esiti della psicoterapia in un centro di salute mentale)ci racconta come in un servizio pubblico si possa costruire un percorso efficace di psicoterapia basato sulle evidenze. La ricerca sugli esiti o outcome è di fondamentale importanza in psicoterapia perché consente di fornire prestazioni sempre più idonee alle richieste di cura: è proprio quello che hanno fatto i colleghi includendo nella ricerca varie “psicoterapie”. Lo studio evidenzia, con grafici e misurazione di parametri oggettivi, come il lavoro psicoterapeutico nel servizio pubblico di un centro di salute mentale, può non solo migliorare la qualità dell’offerta di cura, ma incidere sull’efficacia della stessa a lungo termine.
Il secondo articolo (Un’esperienza sul campo durante la pandemia da Covid-19) curato da vari autori (Funaro A., Aiello G., Albo N., Alfano S., Filippo E., Imbroinise F., Lirangi C., Mauti M., Miniaci R., Posca F., Vespasiano S., Vetere P., Zupo M.F.) descrive i risultati emersi con l’applicazione del questionario “Psycho-Covid-19” che ha confermato un quadro di emergenza sul piano della salute mentale. L’analisi statistica ha evidenziato che i sintomi emersi sono sovrapponibili a quelli dei quadri post traumatici e inoltre che la pandemia potrebbe avere effetti a lungo termine sulla salute mentale.

Anche la sezione Società ospita due contributi. Il primo, di R. Pozzetti (Nome-del-padre e amore del papà) ci accompagna in un percorso sulle due grandi questioni della psicoanalisi: la nascita e la genitorialità in una visione lacaniana.
Il secondo (Il mito di Metis: meticciato del corpo e degli affetti), di M. D’Arrigo, riprende il mito greco di Metis: nella metafora di integrazione/rigetto considera, in un’ottica junghiana, temi attuali quali migrazione, trapianto d’organo, adozione e concepimento, gravidanza.

Troviamo nella sezione Emozioni un articolo di M. Amato (Nostalgia: risorsa esistenziale. Percorso temporale degli affetti tra passato e presente) che mostra come l’etimologia sia il viatico per iniziare il viaggio nelle emozioni suscitate dal termine nostalgia al quale si sono attribuiti nel tempo significati e coloriture di segno diverso, investendo ora il campo della psicopatologia (il pessimismo cosmico, la tristezza e il senso della perdita...) ora quello dell’antropologia (il viaggio esistenziale alla ricerca di senso, l’esilio, l’emigrazione...).

Infine, per Link Art di questo numero Rosa de Rosa (Picasso e l’atrocità della guerra) ci propone di tornare a guardare – con la sensibilità fattasi più acuta per l’orrore di questo ennesimo conflitto – l’opera che per sintesi, impatto visivo e risposta emotiva rappresenta tragicamente tutte le violenze del mondo. Nell’invitarci a cogliere le potenti innovazioni semantiche della raffigurazione, l’autrice ci ricorda che «Guernica è la denuncia consapevole di un evento tragico che va oltre la cronaca, che diventa politica, è un manifesto universale contro la cieca forza della guerra, un’amara riflessione sul dolore inevitabilmente associato al potere».

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